Biodiversità

Il nostro pianeta è abitato da un esercito di "patrimoni genetici"
pronti ad adattarsi e a evolversi per fare in modo che la vita possa continuare.

l nostro pianeta è popolato da un’enorme quantità di esseri diversi -
Il termine più usato per indicare questo esercito di organismi, che occupano
ogni angolo della Terra e si sono adattati a vivere sfruttando tutte le risorse
disponibili è biodiversità, o diversità biologica.Ci sono tre tipi di biodiversità
La biodiversità genetica la biodiversità di specie la biodiversità di ambienti

BIODIVERSITA DI GENI E SPECIE
La biodiversità genetica è pratica, quella che, rende un essere umano, diverso dal proprio fratello nonostante siano entrambi il. risultato dell’unione del patrimonio genetico della stessa madre e dello stesso padre. L’intera popolazione umana è formata da individui diversi solo perché hanno alleli, cioè varianti dello stesso gene. diversi.
Quando si parla di biodiversità, però, s’intende comunemente la biodiversità di specie (la categoria che raggruppa tutti gli organismi geneticamente omogenei e che si possono accoppiare tra loro). Un uomo e uno scimpanzé, infatti, hanno il 98% dei geni in comune, eppure hanno caratteristiche che li rendono non confondibili l’uno con l’altro.

BIODIVERSITA’ DEGLI AMBIENTI
Quanti sono gli organismi diversi che abitano il nostro pianeta? Secondo le stime più basse le specie ammontano a cinque milioni.
Ma alcuni scienziati optano per cifre più alte: le specie esistenti sarebbero 100 milioni.
Il conteggio esatto è difficile. La popolazione terrestre più consistente è, infatti, costituita da organismi piccoli, e quindi più difficili da individuare.

Di batteri per esempio se ne conoscono 4 mila tipi ma sono probabilmente oltre 3 milioni quelli esistenti. Finora gli scienziati hanno catalogato, e conservato nei musei, solo 1,7 milioni di specie. Se la natura fosse un supermercato, sugli scaffali avremmo a disposizione, a seconda di come viene valutata la quantità di specie non ancora conosciute, solo il 34% o quasi il 2% di tutta la merce disponibile.

Come mai le forme di vita che abitano la Terra sono così tante? In pratica, perché c’è la biodiversità? Perché in 4 miliardi di anni, da quando è apparsa la vita, non si è stabilizzato un numero ridotto di forme, perfettamente adattate all‘ambiente in cui vivono? Innanzitutto perchè l’ambiente non è unico. E’ a sua volta formato da microambienti che sono in costante cambiamento.

La vita sulla Terra è organizzata così: ogni organismo, esattamente come capita per i computer collegati a una rete, fa parte di una comunità di altri esseri viventi, che insieme formano un ambiente. Ci sono microambienti. per esempio il ramo di un albero di mogano, e grandi ecosistemi, per esempio la foresta tropicale dove il mogano cresce. E’ ciò che accade sul ramo influenza la foresta.

GLI AMBIENTI
Gli ambienti non sono tutti uguali. Alcuni sono più ricchi di biodiversità, altri meno. Le foreste tropicali coprono appena il 7% della Terra. Eppure contengono oltre la metà delle specie esistenti.
In compenso in un campo della Pianura padana delle dimensioni di un ettaro troviamo migliaia di piante di mais tutte uguali.
La più alta diversità biologica infatti si trova in genere negli ambienti non ancora sfruttati dall’uomo: oltre alle foreste tropicali le barriere coralline e le paludi. Fanno eccezione gli ambienti estremi: ghiacciai, vette dei monti, deserti.

A che cosa serve dunque la biodiversità? E. in sostanza, una polizza di assicurazione per la vita: più alta è la variabilità degli organismi, più alta è la loro capacità di adattarsi e di sfruttare l’energia disponibile.

Dopo cinque estinzioni di massa naturali, il numero delle specie si sta oggi velocemente riducendo per colpa dell’uomo: ogni anno spariscono 26 mila tipi di organismi animali e vegetali.

Entro i prossimi 100 anni oltre la metà delle piante e degli animali potrebbe estinguersi. Ogni 20 minuti, il tempo necessario per fare una doccia, una specie tropicale sparisce per sempre dalla Terra. In un anno la biodiversità, la varietà degli esseri viventi, si riduce di almeno 26mila tipi di organismi. E nessuno è risparmiato: piante, animali, batteri, funghi. Gli esperti parlano di sesta estinzione, per distinguerla dalle altre cinque che sono avvenute in passato. La scomparsa sta procedendo ad un ritmo serrato e si teme che il naturale processo di ricostituzione della biodiversità, che ha seguito anche le altre estinzioni, non abbia il tempo sufficiente per permettere agli organismi di diversiflcarsi e occupare le nicchie lasciate vuote. Dopo le altre cinque grandi estinzioni invece c’è stato un rimescolamento, un riadattamento e infine una nuova esplosione di specie. Si è trattato dunque di un processo naturale, fondamentale per l’evoluzione e la creazione di biodiversità.

DI BASE E DI MASSA
Le estinzioni. nella storia della Terra sono un fenomeno comune. Ci sono estinzioni di base e di massa. Le prime si verificano di continuo, sono limitate a poche specie, avvengono in aree ristrette.

LE CINQUE CATASTROFI
La prima grande estinzione di massa documentata dai fossili risale alla fine del periodo Ordoviciano, 440 milioni di anni fa.

In realtà altre due catastrofi avevano rimescolato la fauna in precedenza: una alla fine del Precambriano. 650 milioni di anni fa. durante la quale scomparvero soprattutto alghe unicellulari e l’altra alla fine del Cambriano, 500 milioni di anni fa, quando i trilobiti. gli animali allora più diffusi. subirono un deciso ridimensionamento.
Nel periodo Ordoviciano i trilobiti superstiti. che sopportavano bene le acque fredde, ricolonizzarono gli ambienti lasciati vuoti dai trilobiti estinti. Poi però ci fu, appunto. la catastrofe dell’Ordoviciano: si estinse il 25% degli organismi.

IL DOMINIO DEI PLACODERMI
La vita poi si espanse nuovamente fino alla fine del Devoniano, 370 milioni di anni fa. Arrivarono le ammoniti (cefalopodi con conchiglia esterna simile a quella del Nautilus attuale) e i placodermi, pesci dotati di mascelle che invasero gli ambienti marini con forme che raggiungevano anche i 10 metri di lunghezza.
Alla fine del periodo, di nuovo la diversità biologica diminuì drasticamente in seguito a un raffreddamento del clima e si estinse il 20 per cento degli organismi.

Durante il Carbonifero e il Permiano, terapsidi (antenati dei dinosauri) e - pelicosauri dominarono le terre emerse grazie al loro perfezionato sistema di locomozione e di nutrizione e al sangue caldo

Al limite tra era Paleozoica e Mesozoica, circa 240 milioni di anni fa, ci fu però la più imponente tra le estinzioni della storia della Terra: più del 60 per cento delle famiglie presenti precedentemente sparì. Nei mari scomparvero circa 9 specie su 10.

Nei mari l’evoluzione ha avuto 2.7 miliardi di anni in più per agire (le prime creature terrestri sono comparse "solo" 800 milioni di anni fa, il primo organismo marino invece 3.5 miliardi).

Gli oceani sono il secondo grande serbatoio di biodiversità sulla Terra dopo le foreste tropicali. Alcuni biologi addirittura stimano che sul fondo marino vivano 10 milioni di specie ancora sconosciute. Per ora. comunque. negli oceani sono state individuate 178 mila specie. tra le quali 12.350 pesci. 114 mammiferi e 58 rettili distribuiti in una ventina di ambienti diversi (dalla foresta costiera di mangrovie agli abissi dalla "giungla" sottomarina formata dall’alga kelp agli atolli).
Poche rispetto agli oltre 1.6 milioni di specie terrestri, ma analisi genetiche fatte su numerosi organismi marini hanno dimostrato che il patrimonio genetico di molte specie è più ricco di alleli (varianti dello stesso gene) rispetto a quello dei "parenti" che vivono sul terreno. E come se, ad esempio, il lamantino avesse a disposizione più "carte da giocare" del suo cugino elefante. Secondo alcuni biologi, ciò rende le creature marine più adattabili e flessibili ai cambiamenti ambientali rispetto a molti organismi terrestri.

200 SPECIE IN 50 Cm2
La varietà di forme, colori, adattamenti (in definitiva: la ricchezza del patrimonio genetico marino) è stupefacente. Basta osservare 50 cm2 di scogliera corallina per individuare fino a 200 organismi diversi (senza considerare quelli invisibili a occhio nudo): pesci chirurgo, balestra e palla che si nutrono delle alghe più grandi, blemmidi e gobidi che brucano la patina verdastra che copre la roccia, pesci pappagallo che si cibano delle microscopiche alghe simbionti dei coralli e dividono la loro mensa con pesci farfalla i e pesci lima.
Molti invertebrati si nutrono l’uno dell’altro, come il gambero mantide, capace di sventrare un granchio in pochi secondi. Razze e pesci imperatore vanno a caccia di stelle marine e lumache vicino al fondo. Intanto i pesci luna inghiottono spugne. gorgonie e coralli urticanti.
Niente va sprecato: gli organismi morti sono I divorati da aragoste e granchi, i detriti e perfino le deiezioni nutrono vermi e oloturie. E tutto questo in 50 centimetri quadrati.

IL PESCE IN PERICOLO
Una diversità genetica cui l’uomo attinge da sempre a piene mani: la sopravvivenza di almeno 100 milioni di persone nei Paesi in via di sviluppo è legata alla pesca. Attualmente l’uomo preleva direttamente dal mare circa 90 milioni di tonnellate l’anno di pesce e molluschi. oltre a quattro milioni di tonnellate di alghe.
E si stima che la richiesta mondiale di pesce supererà la capacità produttiva del mare di ben 20 milioni di tonnellate nei primi anni del Duemila. Specie come il merluzzo, il gado, le aragoste e i gamberi sono state troppo impoverite.
Solo calamari e polpi potrebbero essere sfruttati un po’ di più. Per questo la FAO sta finanziando in Asia e Africa lo sviluppo dell’acquacoltura, che attualmente fornisce circa 13 milioni di tonnellate di pesce.

Oltre alla pesca e all’inquinamento da scarichi industriali e dall’uso dei fertilizzanti chimici, minacciano la biodiversità marina il disboscamento delle mangrovie (dove si riproducono molti pesci tropicali) e la distruzione delle barriere coralline.

La soluzione? Regolare la pesca e proteggere le zone marine più ricche di vita. Oggi nel mondo le aree marine protette sono circa 1400 ma tutelano in tutto una superficie inferiore all’1% degli oceani, mentre le aree terrestri protette sono il 6%.


In tutto il mondo si diffondono le stesse specie di piante e animali.
E si riduce così la biodiversità creata dagli agricoltori in 12 mila anni di storia

Gli esperti la chiamano "McDonaldizzazione della biosfera": in tutto il mondo
si stanno diffondendo piante e animali identici, proprio come in tutte le città
spuntano i fast food che offrono ovunque lo stesso menu. I panini e le bibite del
mondo naturale si chiamano lantana e robinia (un arbusto e un albero entrambi
d’origine americana), ratto e passero. Partono dalle aree più antropizzate e cioè legate
alle attività umane, poi invadono tutti gli ecosistemi, diventano gli organismi
dominanti e in poco tempo riducono a zero la biodiversità.

La causa? L’omogeneizzazione dell’agricoltura. La McDonaldizzazione, infatti, parte dai campi e dalle stalle. In Bangladesh e negli Stati Uniti, si coltivano varietà identiche di mais e soia e si allevano ceppi genetici standardizzati di mucche frisone e maiali siluro.
Si tratta di vegetali e animali che sono stati messi a punto dalle grandi compagnie internazionali e assicurano raccolti e rese decisamente superiori a quelli delle varietà tradizionali, che vengono quindi abbandonate. Così però si perde la biodiversità agricola, vale a dire le migliaia di piante coltivate e razze animali che i contadini di tutto il mondo hanno da sempre utilizzato.

LA SELEZIONE
Le varietà locali sono il risultato di tre miliardi di annidi evoluzione biologica naturale ai quali vanno aggiunti 12 mila anni, da quando è nata l’agricoltura, di selezione continua effettuata dall’uomo.

I nostri antenati agricoltori, ma anche i loro discendenti attuali, hanno infatti modificato le piante e gli animali selvatici per avere cibo, vestiti e medicine.

Sono partiti dalle piante selvatiche, o dagli animali, localmente disponibili. Li hanno utilizzati come materia prima, vale a dire combinazioni di geni, per creare organismi su misura. Risultato: migliaia di varietà e razze diverse. Anche in agricoltura avere un’ampia diversità genetica significa avere un’ampia disponibilità di vegetali e animali adatti alle diverse condizioni ambientali e di crescita. Facciamo un esempio: in Italia agli inizi del secolo venivano coltivate circa 250 cultivar (varietà colturali) di grano. Ce n’erano di resistenti al freddo. all’aridità e alla povertà del terreno.

I nostri allevatori invece avevano a disposizione una quindicina di razze di mucche: dalla calvana, una sottovarietà della chianina, alla vacca della Pusteria. Oggi, per quanto riguarda il grano sono disponibili in commercio solo una quindicina di varietà. Per coltivarle bisogna aiutarle, con pesticidi e concimi. Le vacche sono invece state sostituite dalla frisona e dalla charolais l’agerolese, una varietà sorrentina di frisona, è stata inserita negli elenchi degli animali che sono a rischio di estinzione.


Torno a Casa