diplomazia

 

 

Per motivi semplici che risalgono ai miei primi studi di storia, associo il vocabolo “diplomazia” a eventi distruttivi: mi fa venire in mente la guerra o suscita immagini di ambasciatori che portano dichiarazioni di guerra.
Per esempio, il maestro mi diceva che i giapponesi avevano dichiarato guerra agli americani quando i loro bombardieri erano in volo già da quattro ore verso i mari di Pearl Harbor.

 

C’è poi il caso degli ambasciatori che evitano di portare dichiarazioni di guerra e vanno a trattare ufficialmente con i capi di stato mentre torbidi personaggi al loro seguito esercitano sotterranei ricatti.

M’influenzarono, allora, le parole di Winston Churchill: la diplomazia è una guerra condotta con metodi non militari.

 

Preferisco pensare a una “diplomazia” accostata a “pace”. Ne darò conto, poco più avanti.

 

Su un altro versante, “diplomazia” fu per me sinonimo di ipocrisia, nell’accezione corrente del termine italiano.

Nei miei primi anni di attività, se qualcuno si offendeva per le mie parole, dette nell’intento di attenermi al vero, mi veniva suggerito di essere “diplomatico”.

Anche oggi, a volte, qualcuno osa darmi lo stesso suggerimento, per esempio in un’assemblea in cui mi presento con il 51% delle deleghe e, trovandomi in una situazione di rapporti di forza chiari e legittimi, assumo le decisioni che occorre assumere, e non fingo di assumerle nell’interesse del restante 49%.

 

In genere, la diplomazia può restare un’attività formale che nella migliore delle ipotesi non serve a nessuno, nella peggiore ostacola e genera più conflitti di quanti ne risolva.

 

C’è poi quel dilagante sottoprodotto della diplomazia spicciola che va sotto il nome di politically correct.

Sono i postumi di una diplomazia deteriore quelli che oggi inducono a definire il netturbino un “operatore ecologico”, il cieco un “ipovedente”, lo zoppo un “diversamente abile”. Manca poco che dovremo chiamare “diversamente onesto” un ladro colto con le mani nel sacco.

L’altro ieri, notizia del telegiornale: “Uccide il rivale in un bar affollato, poi consegna il coltello ai carabinieri e si arrende; il presunto omicida viene fermato”. Il garantismo impone così, comicamente, la presunzione d’innocenza.

 

Ma la storia ci racconta anche di una diplomazia alta e nobile. Si pensi all’accorato richiamo che Papa Giovanni XXIII rivolgeva a Kennedy e a Kruscev nel 1962, così contribuendo a evitare che la crisi di Cuba si tramutasse in catastrofe.

 

E, sul fronte di quella che è stata la principale attività della mia vita, ho incontrato una forma di diplomazia costruttiva, una diplomazia di pace, che un giorno ebbi modo d’illustrare a un amico.

Così.

 

Dimmi un po’. Nel tuo mestiere di ragioniere ci sono solo quadrature e bilanci o c’è spazio per un po’ di creatività?

 

C’è spazio per la creatività. Un ragioniere che non fosse anche un “economista d’impresa” non saprebbe esercitare il giusto grado di creatività. Ti porto a esempio un metodo che passa sotto il nome di istituto della conciliazione.

 

Spero che non stiamo parlando dei rapporti tra Stato e Chiesa…

 

No. Sto parlando di rapporti tra cittadini. È normale e frequente che, dove ci sono interessi contrastanti, due persone vengano a conflitto e cerchino di ottenere vittoria delle rispettive ragioni con tutti i mezzi a disposizione.

 

Il problema è che ricorrere al tribunale per affari urgenti risulta dispendioso e controproducente. E allora ci si fa giustizia da sé, come gli incivili!

 

Ci si fa giustizia da sé, certo, ma non come incivili. Le due parti si rivolgono a un terzo, che sappia esaminare la questione in modo intelligente e originale e tenti di risolverlo.

 

In pratica le due madri che si contendono il bambino vanno dal Salomone di turno, il quale però suggerisce di tagliarlo in due!

 

In un certo senso. Il terzo è un professionista qualificato, ad esempio un commercialista, che esaminerà la questione e raccoglierà tutti i dati necessari alla proposta di una soluzione da cui entrambe le parti possano ricevere piena soddisfazione.

 

Che c’entra con la creatività?

 

Il professionista a cui si rivolgono deve conoscere bene l’economia e il diritto, avere esperienza di uomini e di imprese, e saper vedere i problemi da un angolo non solo indipendente ma anche nuovo.

 

Puoi fare un esempio di conflitto risolvibile per questa via?

 

Certo. La mamma entra in cucina dove i due figlioli sono venuti alle mani.

¾ Bambini, smettetela! Cosa c’è che non va?

¾ Pierino si è preso la mia arancia.

¾ Non è vero. Era mia. L’ho vista prima di Eleonora.

¾ Ma era sulla mia sedia.

¾ Non conta. L’ho vista e l’ho presa. Ora è mia.

¾ Mamma, decidi tu. Chi ha ragione? Di chi è l’arancia.

 

Scommetto che la mamma la taglierà in due, come farebbe Salomone!

 

Forse. Ma c’è una soluzione migliore. Anzitutto chiede ai figli perché vogliono così accanitamente l’arancia.

Pierino: ¾ Ho sentito dire che è piena di vitamine e voglio provare a farmi una spremuta.

Eleonora: ¾ Io alla televisione ho visto un programma di cucina, dove una famosa rockstar ha insegnato a fare i canditi. Voglio avere l’arancia.

 

Ecco il colpo di genio: la mamma, che rappresenta il nostro ragionier Salomone, ha capito i veri interessi dei contendenti e propone una cosa semplicissima e di massima soddisfazione per entrambi:

¾ Tu, Pierino, spremi l’arancia e beviti il succo.

¾ Tu, Eleonora, prendi le bucce, tagliale a pezzetti e mettile in padella con lo zucchero.

 

Hai capito? l’arancia viene tagliata in due, ma non in parti uguali.

 

 

ã          ã          ã