Gioco della vita

 

 

Necessità non ha legge.

Sant’Agostino

 

 

LIFE è un gioco ideato dal matematico inglese John H. Conway. Si gioca su una scacchiera infinita con un numero illimitato di pedine.

Si parte disponendo qualche pedina a caso sulla scacchiera, che formano una figura. Si esaminano le caselle occupate e si applicano le seguenti regole di trasformazione:

 

¾    Una casella occupata resta occupata (la pedina sopravvive) se è circondata da 2 o 3 caselle occupate.

¾    Una casella occupata si libera (la pedina muore) se è circondata da più di tre o meno di due pedine.

¾    Una casella vuota si occupa (nasce una pedina) se sono occupate esattamente tre caselle vicine.

(Per caselle vicine si intendono le 8 immediatamente confinanti che circondano la casella considerata).

 

Eseguendo le regole su tutte le caselle contemporaneamente, si assiste alla evoluzione in forme che possono portare alla estinzione delle figure, alla stabilizzazione in una figura che non può più modificarsi o alla creazione di figure nuove sempre più complesse.

Il gioco si esegue preferibilmente per mezzo di un computer, che è in grado di eseguire un gran numero di trasformazioni, in breve tempo e senza errori, e di esplorare le figure originate dalle successive trasformazioni.

 

Esempio di evoluzione di una figura iniziale (1) di quattro caselle.

Essa si stabilizza nelle figure (10) e (11) che si trasformano una nell’altra senza fine.

 

 

Sono state trovate molte figure interessanti, ad esempio una che genera “alianti” indipendenti, pur restando sempre uguale a se stessa e un’altra in grado di assorbire e distruggere eventuali figure in collisione, senza esserne modificata.

 

Questa figura si chiama “Aliante”. Dopo quattro trasformazioni ritorna uguale a se stessa,

ma spostata di una casella in basso e una casella a destra.

 

 

Il gioco si chiama “LIFE” (= vita) perché introduce semplici regole che determinano nascita, sopravvivenza e morte di una pedina in funzione dell’ambiente circostante.

Si dimostra che possono esistere figure che crescono indefinitamente, raggiungendo qualunque grado di complessità.

Si può allora speculare: una di queste figure, di complessità estrema e comunque senza limite, potrebbe dare origine a proprietà emergenti, come la vita-così-come-noi-la-conosciamo?

Si potrebbe in tal caso parlare di figure vive? Potrebbe addirittura emergere una proprietà simile a quella che chiamiamo intelligenza o consapevolezza?

La strada per l’esplorazione è aperta. Non siamo ancora in grado di dare una risposta sensata a queste domande, ma ormai “il genio è uscito dalla lampada”. È impossibile farlo rientrare.

 

La descrizione di LIFE e delle sue conseguenze estreme lascia sgomenti. Se tutto questo può scaturire da un sistema così semplice, cosa mai può uscire dalla infinita combinazione delle molecole presenti in natura?

 

Se c’è una critica che si può muovere a LIFE, è quella di rappresentare una evoluzione perfettamente deterministica. A parte la figura iniziale, che viene scelta a piacere, non vi è spazio per interventi successivi e per la casualità. Le regole sono immutabili, e le figure sono lo sviluppo necessario e calcolabile della applicazione delle regole stesse alle condizioni iniziali.

Nella vita reale non è così. C’è spazio ¾ non molto ma neppure poco ¾ per il cambiamento e anche per la casualità. Abbiamo visto come la costruzione degli esseri viventi dipenda dalle istruzioni impartite dal Dna. Se questo fosse immutabile, le specie viventi sarebbero fissate una volta per tutte, senza possibilità di modifiche.

 

Cosa cambierebbe? Non sarebbe meglio?

 

Sarebbe la fine della vita. Non dimentichiamo che le condizioni ambientali non sono fisse. Potrebbe accadere, ed effettivamente è accaduto, qualche cambiamento significativo nell’ambiente, ad esempio nel clima (pensiamo a una glaciazione).

In tal caso, le creature abituate ai climi caldi (pensiamo ai leoni) non avrebbero possibilità di sopravvivenza e la specie si estinguerebbero in breve tempo.

Un successivo cambiamento climatico in senso inverso estinguerebbe gli animali che amano il freddo ¾ poveri pinguini ¾ ma i leoni non tornerebbero più.

Poi sarebbe la volta di quelli che cercano gli ambienti umidi, sterminati dalla sopravvenuta siccità. E così via.

Ogni modifica dell’ambiente farebbe scomparire alcune delle specie viventi, senza che possano riapparire le specie già estinte: questo porterebbe inevitabilmente all’estinzione totale.

 

Però la storia del nostro pianeta non è questa. La vita esiste da almeno 3,5 miliardi di anni e anche le estinzioni di massa avvenute in tempi preistorici non hanno avuto effetti definitivi.

 

Se la vita avesse seguito regole simili a quelle di LIFE sarebbe già estinta. Ma c’è un meccanismo che introduce la variabilità e permette alle specie di evolvere, lentamente, ma con velocità generalmente sufficiente per adattarsi alle nuove condizioni.

In altre parole, il Dna può cambiare. Per effetto di errori accidentali e casuali, rari ma non troppo, di duplicazione del codice, o per effetto di fattori esterni, ad esempio radiazioni, raggi cosmici, ecc. il Dna può essere modificato leggermente da una generazione all’altra.

 

Non posso crederci. Arriva una glaciazione e, provvidenzialmente, un raggio cosmico colpisce casualmente il Dna di un leone e lo rende adatto alla vita in Alaska.

 

Infatti non è così, e la Provvidenza non c’entra. Si verificano (relativamente) molte mutazioni del Dna, per la maggior parte atte a introdurre cambiamenti insignificanti o addirittura controproducenti nella struttura fisica dei leoni. Ma alcune, necessariamente, atte a introdurre modifiche favorevoli.

Qualche leone avrà dal suo Dna una pelliccia più folta, avrà meno freddo e non starà così male. Questi vivranno bene lo stesso e potranno riprodursi. I cuccioli erediteranno il loro Dna, che li salverà dal freddo.

Gli altri, magari con un Dna che li predispone alla calvizie, saranno freddolosi e moriranno prima di poter riprodursi.

 

Anche perché le leonesse non amano i leoni calvi.

 

Se la velocità di cambiamento del clima è compatibile con quella del cambiamento del Dna leonino, la specie si salverà.

 

Questa è la teoria di Darwin. La sopravvivenza del più adatto, quello con la pelliccia nuova.

 

Tra le critiche alla teoria figura proprio la mancanza di una definizione di “più adatto”.

 

Adatto a cosa?

 

Adatto a sopravvivere. La teoria dice che sopravvive il più adatto a sopravvivere: è una tautologia.

La confusione mentale dei detrattori di Darwin sorge dalla loro abitudine a coltivare il concetto di scopo. Anch’io prima ho detto “per adattarsi alle nuove condizioni”, ma è un modo di dire: la natura non ha lo scopo di far sopravvivere i leoni. La natura si disinteressa dei leoni; semplicemente, modifica, a caso, le caratteristiche genetiche dei leoni, generando una serie di situazioni differenti, in tutte le direzioni. La selezione avviene quando l’ambiente elimina quelli che non possono farcela e permette ai soli sopravvissuti di trasmettere le loro capacità ai discendenti.

È tutto qui, non c’è uno scopo. Per dirla con Jacques Monod, è il caso che gioca con la necessità.

 

È quindi il caso, applicato a tempi lunghi e a popolazioni numerose, che muove tutto questo.

 

È il caso cieco abbinato a un meccanismo selettivo indifferente.

Per chiarire bene come questo meccanismo sia anche in grado di generare creature complesse o anche solo organi di complessità e ingegno sorprendenti (ad esempio l’occhio) occorre riflettere su due sue caratteristiche: le mutazioni casuali sono sempre di piccola entità: uno stravolgimento del Dna di un vivente lo porterebbe quasi certamente alla morte, anzi non lo farebbe neppure nascere; le mutazioni casuali favorevoli tendono peraltro ad accumularsi e, col tempo, causano differenze di grande entità nella specie mutante.

Quando si sente parlare di mutazioni casuali, in genere si arriccia il naso: sembra impossibile che mettendo insieme, a caso, delle molecole possa scaturirne un essere vivente completo o anche solo un occhio funzionante. Sarebbe come se un tornado investendo un deposito di rottami potesse mettere insieme un’auto nuova di fabbrica.

Questo non accade e non può accadere, in pratica. Non può accadere, poiché le molecole organiche sono tante, e le loro potenziali combinazioni sono così numerose che non basterebbe l’età dell’universo per provarle tutte fino a quella giusta.

Invece, in un universo infinito e in un tempo infinito, queste combinazioni, in linea di principio, devono accadere, se il meccanismo di rimescolamento è realmente casuale.

Eppure, la vita è apparsa abbastanza presto nella storia della Terra: già 3,5 miliardi di anni fa.

 

Se ho ben capito, la natura fa girare la roulette genetica, dopodiché l’ambiente si incarica di selezionare gli individui con caratteristiche sia pure di poco più favorevoli. Queste caratteristiche vengono trasmesse agli eredi, che rientrano nella roulette, e così via.

 

E per capire se hai capito davvero, ti propongo un indovinello: è nato prima l’uovo o la gallina?

 

Beh. Veramente… dunque: per fare una gallina ci vuole un uovo… però per fare un uovo ci vuole una gallina… Non sono sicuro. C’è un regresso all’infinito. Davvero si può rispondere a questa domanda?

 

Si può, anche se la domanda è formulata in modo tendenzioso. Infatti ci si dovrebbe chiedere: è nato prima l’uovo di gallina o la gallina?

È nato prima l’uovo di gallina, perché l’animale che lo ha deposto poteva essere una non-gallina.

In parole più chiare, è perfettamente possibile che una non-gallina deponga un uovo contenente un Dna casualmente mutato, che dà poi origine a una gallina. Non è invece possibile che un uovo-di-gallina dia origine a una non-gallina.

Certo, la gallina non risulterà molto differente dalla non-gallina, ma in linea di principio sarà differente.

 

E magari, da vecchia, anche la non-gallina farà buon brodo.

 

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