Partita doppia

 

 

Una grande società è una società in cui gli uomini d’affari hanno una grande idea delle loro funzioni.

Alfred North Whitehead

 

 

In principio c’era un uomo che voleva fare qualcosa di rilevante, qualcosa che avesse rilievo.

Si rendeva conto del fatto che da solo non sarebbe riuscito e che avrebbe avuto bisogno di risorse. Si associò con altri uomini e decise di fondare un’impresa. Era diventato imprenditore.

In principio c’è il nulla, ma il fatto stesso di voler destinare risorse all’impresa la fa nascere dal nulla¼

 

Cos’è? una parodia della Genesi? o una contraddizione logica?

 

La similitudine, non la parodia, della Genesi risulterà molto appropriata se mi lasci continuare. E poi, di grazia, perché avrei enunciato una contraddizione logica?

 

Perché non si può dire “c’è il nulla”, o meglio si può dire, ma non è possibile attribuire un significato a tale affermazione, in quanto se io dico “esiste il nulla”, il nulla diviene subito qualcosa che esiste, mentre il concetto di “nulla” deve negare ogni esistenza, persino la propria.

 

Eppure, quando si compone al telefono il numero 555, si sente una voce che dice: attenzione, il numero selezionato è inesistente (e meno male che l’informazione è gratuita). Non dovrebbe essere possibile selezionare un numero “inesistente”.

Però mi hai dato lo spunto per alcune precisazioni:

è possibile enunciare un’affermazione linguisticamente corretta (dal punto di vista di ortografia, grammatica e sintassi) anche se falsa o priva di significato, per esempio “la neve è nera”. Non si può dire che la frase sia scorretta, salvo che, alla prova dei fatti (e solo alla prova dei fatti) si scopre che è falsa. È uno dei misteri del linguaggio, anche se molto provvidenziale, poiché permette di mentire! Però se voglio indagarne il significato, non ho altra scelta che confrontarmi col mondo reale e andare a vedere la neve.

Si cade in una trappola quando si pensa che “esistente” sia una proprietà di un oggetto. In realtà, secondo la logica moderna, trattasi non di un predicato, cioè una proprietà di un oggetto, ma di un quantificatore, cioè un presupposto affinché un oggetto possa avere delle proprietà.

Lo stesso sant’Anselmo (prima d’Aosta, poi di Bec e infine di Canterbury) si è ingannato basando su tale svista la sua celebre prova ontologica dell’esistenza di Dio formulata nel 1077. Poi è arrivato Kant a confutarlo definitivamente e proprio sul piano della logica… A ogni buon conto, Dante lo aveva già collocato in Paradiso, tra gli spiriti sapienti.

 

Perdona, se ti ho costretto a fare una divagazione filosofica. Parlami ancora di impresa.

 

Stavo dicendo che l’imprenditore fa nascere un’impresa dal nulla con il concorso di altri, che chiamerà soci.

Considerando l’impresa come un ente a sé, questa è titolare di un credito verso i soci pari all’ammontare delle risorse che questi intendono conferire e di un debito di pari importo verso gli stessi soci, in quanto questi sono pur sempre i proprietari e l’impresa deve rendere loro conto.

Per avere un resoconto preciso della situazione, si usa redigere un prospetto che mostri tutto ciò. Tale prospetto si chiama “Bilancio” e prende il nome dal fatto che, se registrati secondo il metodo della Partita doppia, gli importi si bilanciano sempre perfettamente. Ecco il primo bilancio, subito dopo la fondazione:

 

Attivo

Credito verso i soci (Capitale da ricevere)

1.000

Passivo

Debito verso i soci (Capitale sociale)

1.000

Totale

1.000

Totale

1.000

 

Ed ecco il miracolo: il credito verso i soci è pari al debito verso gli stessi soci.

+1.000 e –1.000 = 0 = nulla!

Eppure l’impresa esiste, è un nulla che esiste, ed è già in grado di fare qualcosa, cioè l’unica cosa che la legge permette a questo stadio: trasformare il credito in qualcosa di più concreto.

Supponiamo che i soci versino una parte del credito (pari a 400). Il nuovo bilancio sarà:

 

Attivo

Denaro in cassa

 

400

Passivo

Debito verso i soci (Capitale sociale)

1.000

Credito verso i soci (Capitale da ricevere)

600

 

 

Totale

1.000

Totale

1.000

 

Col denaro in cassa si può poi pensare di acquistare materiali e macchinari per la produzione per 100 e per 200. Il bilancio a questo punto sarebbe questo:

 

Attivo

Denaro in cassa

100

Passivo

Debito verso i soci (Capitale sociale)

1.000

Materie prime

100

 

 

Macchinari

200

 

 

Credito verso i soci (Capitale da ricevere)

600

 

 

Totale

1.000

Totale

1.000

 

Si può anche pensare di acquistare una sede sociale per 500 accedendo al credito bancario. Il nuovo bilancio è questo:

 

Attivo

Denaro in cassa

100

Passivo

Debito verso banche

500

Materie prime

100

Debito verso i soci (Capitale sociale)

1.000

Macchinari

200

 

 

Immobile sociale

500

 

 

Credito verso i soci (Capitale da ricevere)

600

 

 

Totale

1.500

Totale

1.500

 

Si potrebbe continuare con tutte le operazioni che l’impresa compie nel corso della sua vita, ma a questo punto oramai è tutto chiaro: partendo dal nulla, lo zero iniziale si sdoppia in due componenti di pari importo ma di segno opposto, i debiti e i crediti verso le stesse persone.

Successivamente, crediti e debiti si trasformano in altri elementi di attivo, passivo, ricavi e costi, la cui somma algebrica risulta comunque zero.

È il metodo della Partita doppia che si incarica con il suo algoritmo di bilanciare perfettamente le cose, in ciascun momento.

Quello che realmente importa è che il nulla sia diventato qualcosa in grado di agire e di raggiungere gli obiettivi dei soci imprenditori.

 

Mi pare interessante l’idea di quello zero, quel nulla, che si scinde in vari elementi che singolarmente sono qualcosa di concreto ma che, sommati, danno ancora zero.

 

Ma è interessante anche quell’algoritmo, la Partita doppia, che segue puntualmente tale fenomeno e lo rappresenta in modo chiaro e fedele.

Infatti, nella soluzione dei problemi la parte più difficile, e ciò che più conta, sta nel trovare un linguaggio simbolico che li rappresenti in modo efficiente ed efficace e uno strumento matematico che li risolva.

Se si scorre la biografia di Albert Einstein, si scopre che aveva già maturato nella mente le sue teorie sulla relatività, a livello intuitivo, per così dire, ma che poi ha avuto bisogno di anni di studio per impadronirsi di uno strumento matematico scoperto poco prima da Gregorio Ricci Curbastro onde formalizzare i suoi problemi e formulare le equazioni risolutive.

 

Certo, certo. Ma torniamo alla Partita doppia. Chi l’ha inventata? e quando?

 

Saprai che agli albori del rinascimento i mercanti fiorentini avevano la necessità di registrare con precisione lo operazioni commerciali di volume sempre crescente e che tenevano una contabilità per seguire la consistenza del loro patrimonio: denaro, merci, crediti, debiti.

Vero è che le registrazioni contabili si sono sempre tenute, da quando l’uomo ha iniziato a commerciare.

Andando molto indietro nel tempo si scopre che gli antichi egiziani erano molto precisi e tracce di registrazioni si possono trovare addirittura nelle antichissime e famosissime tavolette babilonesi.

Se può interessare, il professor Carlo Antinori, uno dei maggiori storici della ragioneria, in uno dei suoi ultimi articoli riferisce di una recente scoperta archeologica che dimostra come, già 8.000 anni or sono, gli abitanti della Mesopotamia tenessero conto delle loro merci per mezzo di sfere cave di argilla che contenevano piccole pietre in quantità e qualità proporzionali ai beni che dovevano rappresentare.

Mi riesce difficile pensare che non fossero anche arrivati al concetto di assegno, mediante trasferimento di tali sfere di argilla in luogo dei beni corrispondenti.

C’era anticamente una classe sociale, gli scribi, che si dedicavano alle attività contabili, principalmente per motivi fiscali.

E si trova anche traccia di una particolare figura di professionista che registrava e attestava operazioni per conto terzi: addirittura un commercialista, un revisore contabile, un certificatore ante litteram.

Del resto, è noto che san Matteo era uno di questi professionisti, addetti alla riscossione dei tributi. Non credo di sbagliare affermando che, secondo me, il suo è il Vangelo redatto nel modo più ponderato e più preciso.

A titolo di curiosità aggiungerò che san Matteo è il protettore dei Ragionieri e dei Dottori Commercialisti e che la sua cappella in Sant’Angelo a Milano è conservata a cura di questi professionisti che, una volta l’anno, in novembre, lo onorano con una cerimonia di commemorazione dei colleghi defunti e con una messa.

La vera novità del metodo denominato Partita doppia è l’introduzione della sistematicità nelle registrazioni, dovuta alla comprensione del fatto che ogni operazione economica “muove” almeno due voci tra attivo, passivo, costi e ricavi.

Mi spiego meglio con un esempio: stamattina sono passato in banca a ritirare 500 euro per le piccole spese; nella mia contabilità personale mi affretto a registrare il prelievo su un foglietto che, se ben tenuto, con pazienza, assiduità e precisione, alla fine del mese sarà uno specchio fedele dell’estratto conto che mi invia la banca.

Così fedele che, se tutto va bene, il saldo del foglietto coinciderà con quello della banca, mentre se qualcosa non gira, potrò capire se ho sbagliato qualcosa oppure dovrò correre in banca per lamentarmi.

Agendo in questo modo, posso congratularmi con me per la diligenza esercitata, no? È quello che penserebbe l’uomo medio. Invece no!

Ho registrato con cura il movimento bancario e, se sono stato bravo, ho quadrato i numeri con quelli della banca.

Ma non basta! Se tornando a casa mi sfilo il fazzoletto dalla tasca e con questo un bel bigliettone da 50 che ¾ orrore ¾ finisce in strada, come faccio a saperlo a fine mese? Mi sembrerà di averlo speso per qualche motivo; al massimo potrò dire: “ma quanto ho speso questo mese” oppure “i soldi non bastano mai, con questa inflazione”.

Ma mi ingannerei. In realtà non sono stato affatto diligente perché non ho registrato correttamente e completamente l’operazione di prelievo.

In realtà, avrei dovuto registrare –500 sul foglietto intitolato “Banca” e +500 su un altro foglietto intitolato “Denaro in tasca”. Così facendo, il totale del foglietto “Denaro” corrisponderebbe a quanto giace nelle mie tasche e, anzi, potrei facilmente controllarlo rovesciando i pantaloni e contando quanto cade per terra.

Si noti che con questa operazione non mi sono né arricchito né impoverito: infatti +500 e –500 = zero. È un altro esempio dello zero che si scinde in due elementi che però sono qualcosa.

Incidentalmente, poiché la somma di tutto quello che registro deve essere zero, scopro immediatamente se ho registrato tutto e bene semplicemente facendo le somme e verificando questa condizione.

Ecco la potenza della Partita doppia.

 

Bellissimo, ma chi l’ha inventata?

 

Si attribuisce l’invenzione a fra Luca Pacioli, nato a Borgo San Sepolcro nel 1445 e morto a Roma nel 1514 o forse nel 1517, matematico, che pubblicò in lingua volgare a Venezia la Summa, un testo di aritmetica, algebra e trigonometria che, tra l’altro, pose le basi della moderna scienza della ragioneria e dell’economia aziendale.

Fu un divulgatore della Partita doppia ragionieristica. è da quest’opera che nacque il Metodo veneziano di rilevazione dei conti che è strumento indispensabile e insuperato anche nell'era dei computer.

Nel 1994 la Zecca italiana coniò una moneta commemorativa da 500 lire in suo onore e le Poste Italiane, in occasione del quinto centenario della pubblicazione della Summa, misero in circolazione un francobollo da 750 lire.

Fu autore anche del De Divina Proportione, un altro manuale di aritmetica, matematica e geometria.

Nel 1494 Ludovico il Moro gli conferì la cattedra di matematica a Milano, dove, tra gli altri, incontrò Leonardo da Vinci.

È interessante notare che il libro è parzialmente illustrato da Leonardo da Vinci, amico di Pacioli. I suoi lavori gli valsero infatti l'appellativo di Ragioniere di Leonardo.

 

Scrive fra Luca Pacioli: “Mai si deve mettere in dare che quella ancora non si ponga in avere, e così mai si deve mettere cosa in avere che quella ancora quella medesima con suo ammontare non si metta in dare. E di qua nasci poi al bilancio che del libro si fa: nel suo saldo tanto convien che sia il dare quanto l'avere”.

 

Questo Pacioli doveva essere un tipo in gamba.

 

Aveva, tra l’altro, una mentalità molto pratica. A lui si attribuisce l’invenzione di una formula semplicissima che serviva per calcolare il numero di anni necessari affinché un capitale impiegato al tasso d’interesse composto i potesse raddoppiare.

 

Com’è la formula?

 

La formula è: numero di anni per il raddoppio = 72/i.

Pertanto, un capitale impiegato all’8% raddoppia in (72/8) = 9 anni (se non vengono ritirati gli interessi).

Se si fanno i calcoli per bene, con i logaritmi o con un foglio elettronico, si scopre che dopo 9 anni un capitale di 1.000 euro diventa pari a 1.999 euro, con un solo euro di errore!

Un capitale impiegato al 3% raddoppierebbe in (72/3) = 24 anni.

Facendo i calcoli, lo stesso capitale di 1.000 euro dopo 24 anni diventa 2.032 euro, con soli 32 euro di errore.

È evidente l’utilità pratica di una formula tanto semplice.

È interessante notare che il numero fisso 72 ha un gran numero di divisori (2, 3, 4, 6, 8, 12, 18, 24, 36) ed è divisibile quasi esattamente per 5, 7 e 10.

Viene da pensare che il Pacioli lo abbia scelto per questo motivo, visto che sarebbe possibile creare una formula simile, ma ancora più precisa, utilizzando tuttavia altri parametri ben più scomodi per i calcoli manuali.

 

 

La prima regola dell’imprenditore è fare qualcosa

che gli piace veramente, altrimenti

farla diventa impossibile.

David Birch

 

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