A piedi nelle 5 Terre

Guarda anche l' Itinerario Costiero

Tratto da "Cinque Terre" guide per il week-end Ist.Geo. De Agostini 1994

itinerario
di crinale

Isole del Golfo

Strada dei Santuari

L'Itinerario pedonale da Portovenere a Levanto corrispondente al sentiero n. 1 del CAI di La Spezia, chiamato anche ‘Alta via delle Cinque Terre’, Itinerario di cresta’, ‘Itinerario dello spartiacque’ ecc., distinto da segnavia bianco - rosso.
È lungo circa 40 km, ma la presenza di punti di ristoro e di eventuale pernottamento lungo il percorso (a Campiglia, al Colle del Telegrafo, al santuario di Nostra Signora di Soviore, alla Colla di Gritta) consente di effettuarlo anche a chi non è disposto a impegnarsi per più di dieci ore consecutive o preferisce assaporare con calma la varietà dei luoghi attraversati e degli ampi panorami che si dispiegano alla vista. Il suggerimento è di frazionare l’intero percorso in sei tratti.
L’impegno fisico comunque richiesto impone di raccomandarne l’effettuazione a chi disponga di una buona preparazione fisica e sia abituato al trekking; la traversata in un solo giorno è riservata ai camminatori esperti. E’ utile una carta dettagliata e aggiornata dei sentieri.

Il percorso si snoda lungo il crinale che divide la costiera delle Cinque Terre dalla bassa valle del Vara e tocca la quota massima con i 780 m alla Sella di Malpertuso. Il dislivello complessivo in salita è di circa 1300 m, altrettanti in discesa; sono frequenti i tratti ripidi in salita, specialmente all’inizio e alla fine, con passaggi anche stretti ed esposti. Qualche difficoltà pratica si può incontrare nell’attraversamento di lembi di macchia di ginestrone spinoso o di boschi devastati dagli incendi: meglio prevedere quindi un abbigliamento adatto.

Diverse strade asfaltate raggiungono il sentiero dal versante spezzino, consentendo così di compiere itinerari parziali o di stabilire punti di incontro con amici: da Marola la strada per Campiglia, da Pegazzano quella per Biassa e il Colle del Telegrafo, da La Foce (o Sant’Anna) ancora per il Telegrafo, da Pignone la provinciale per il Termine, presso il santuario di Nostra Signora di Soviore, o per la Foce Drignana.
Le condizioni climatiche della zona consentono teoricamente la traversata tutto l’anno, ma con qualche disagio da novembre a marzo, a causa delle piogge, dei possibili abbassamenti di temperatura, delle nebbie, della scarsità delle ore di luce. I periodi migliori sono la primavera inoltrata e l’inizio dell’autunno, mentre l’estate, che è ovviamente la stagione ottimale, presenta il problema della notevole frequentazione dei sentieri e dei posti di ristoro e di alloggio, spesso al completo.
L’itinerario riveste un carattere essenzialmente ambientale e naturalistico, oltre che puramente escursionistico e sportivo, con qualche motivo d’interesse storico. Data la sua lunghezza, ci limiteremo a fornire indicazioni generali seguendo lo sviluppo secondo i tratti più facilmente identificabili. Considerata infine l’importanza dei due centri abitati sedi del punto di partenza e di arrivo, ne daremo brevi descrizioni in apertura e in chiusura del capitolo, accompagnate dalle consuete notizie utili.

Portovenere (a La Spezia 12 km; 8 m s.l.m.; superficie 7,6 km2 popolazione 4557; cap 1902 5; pref. tel. 0187), caratteristico borgo marinaro ligure, è situato alla base della estremità rocciosa che definisce il confine sudoccidentale del golfo di La Spezia ed è dotato di un attrezzato porticciolo turistico.
Le case dell’abitato, fortificato e dominato dalla mole dell’antico castello genovese, si addossano in serrate barriere a schiera sulla calata del porto di fronte al quale, separata da un breve tratto di mare, vi è l’isola Palmaria, seguita più a meridione dalle minori isole del Tino e del Tinetto.
Presso il capoluogo vi sono i centri di Le Grazie, pittoresco borgo situato in fondo all’omonimo seno, e Fezzano, affacciato su una serie di piccole insenature. In origine stazione navale fra Luni e Sestri, nei primi secoli del Cristianesimo nelle tre isole e sulla Punta di San Pietro furono stabiliti gli insediamenti monastici, sui quali si estese l’influenza dei vescovi lunensi. Occupata da Rotari nel 643, fino al X secolo subì frequenti incursioni saracene. Nel 1113 i signori di Vezzano la cedettero ai Genovesi, che costruirono l’attuale borgo quale caposaldo dei loro confini orientali e lo fortificarono (1160) per difenderlo dagli attacchi di Pisa, che era riuscita a occupare Lerici.
Portovenere fu assediata nel 1165, presa nel 1198 e attaccata ancora nel 1210 e nel 1242, quando subì devastazioni e saccheggi. Caduta sotto i Francesi nel 1336, nel 1370 ebbe uno statuto proprio e nel 1494 respinse l’assedio della flotta di Alfonso d’Aragona, re di Napoli.
Occupata dagli AustroRussi e poi dai Francesi nel 1779, fu bombardata nello stesso anno dagli Inglesi. Fu annessa al regno di Sardegna in seguito al Congresso di Vienna (1815).
La chiesa di San Pietro, all’estremità del sottile promontorio roccioso dell’Arpaia, proteso sul mare, è costituita da due corpi diversi, il maggiore dei quali è sovrastato da un campanile con bifore. Fu eretta nel 1277 con paramenti alterni di pietre bianche e nere, effetto decorativo mantenuto anche all’interno, formato da un presbiterio gotico diviso in tre cappelle quadrate e da una piccola navata.
Da questa, due archi immettono in una chiesa paleocristiana (V-VI secolo), di cui resta una parte a pianta rettangolare con abside semicircolare incorporata, di tipo siriaco. D’epoca romana sono i frammenti di un’ara ritrovati sotto l’attuale costruzione, traccia dei resti di un tempio dedicato a Venere.
La loggia romanica con elegante quadrifora aperta sul mare verso la falesia del Muzzerone è quanto resta del monastero del XII secolo.
La parrocchiale di San Lorenzo, edificata nel 1116 e ripresa in epoche successive, si presenta con una facciata nella quale elementi romanici (il portale) si uniscono ad altri gotici e rinascimentali; a quest’ultima fase risalgono la cupola ottagonale e il campanile.
Parte del complesso medievale di fortificazioni che cingono il centro storico è ancora osservabile, con una torre scalare sul promontorio e una porta d’accesso nella zona più antica del borgo. Il castello attuale (visitabile: orario estivo 10-12 e 14-18; invernale 15-17), sovrastante l’abitato, al quale è collegato da una cinta muraria con torri, è originario del 1161, ma venne ricostruito nel XVI secolo e ulteriormente rafforzato nel secolo successivo.
All ‘interno dell’abitato, attraversato in lunghezza dalla caratteristica via Cappellini, la casa detta dei Doria venne costruita prima dello sviluppo impresso al borgo da Genova ed è perciò fra le più antiche di Portovenere.
Nella frazione di Le Grazie, interessante la parrocchiale di Santa Maria del XV secolo, e l’attiguo convento degli Olivetani. Nella zona del Varignano vi sono i resti di una villa romana rustica (fine Il - inizio I secolo a.C.), comprendente un impianto termale, una cisterna e locali di servizio, in seguito trasformati in una fattoria.

Portovenere - Campiglia

Si parte dalla piazza di Portovenere antistante la porta risalente aI 1113 e si comincia a salire ripidamente presso il tracciato delle mura, passando dietro il castello; si entra quindi in un arbusteto, e il sentiero diviene meno erto.
La vista su Portovenere, sulle isole e sul golfo di La Spezia è superba: verso ponente si vedono le falesie precipiti sul mare, in parte colonizzate dalla macchia. Dopo la cava di Canese (si passa tra blocchi di marmo Portoro) s’incontra la strada asfaltata che sale al forte Muzzerone; la si segue per breve tratto, quindi per un boschetto di pini si giunge alla Sella Derbi (190 m), per proseguire in salita lungo le pendici a mare del Monte Castellana, ricco di affioramenti rocciosi diversi e di formazioni a macchia.
I punti panoramici sono frequenti (notevole il belvedere detto ‘del Pitone’) ed è possibile osservare i voli del gheppio e del falco pellegrino, che nidificano negli anfratti delle sottostanti pareti rocciose. Il sentiero prosegue nella macchia sulle pendici della Costa Rossa, in vista della valle dell’Albana; sul crinale, all’incontro con un tornante della strada asfaltata per Campiglia, si deve continuare in basso lungo il sentiero che entra nella pineta, quindi si ritrova la strada asfaltata nei pressi di un campo di calcio.
Si prosegue ancora dentro un lembo di pineta, fino al culmine del crinale: il rudere di un mulino a vento del secolo scorso, utilizzato per macinare le castagne, annuncia il villaggio di Campiglia, che si raggiunge passando a fianco della chiesa di Santa Caterina e del cimitero, fino alla piazzetta (401 m).

Campiglia è un piccolo abitato rurale d’origine medievale, disposto a semicerchio e affacciato sulla valle di Coregna, sul versante spezzino. E’ raggiunto dalla rotabile che parte da Marola, nei pressi di La Spezia, ed è punto d’incrocio di numerosi sentieri. È collegato al capoluogo dall’autobus n. 20. Vi sono due ristoranti (La Lampara, e La Luna) e un negozio di generi alimentari (da Dino).

Da Portovenere 5, 5 km; dislivello 500 m; quota massima 405 m a Santa Caterina; tempo medio necessario: 2 ore

Da Campiglia è possibile seguire tre interessanti diramazioni che conducono in località meritevoli di una visita, anche se le lunghe scalinate che occorre scendere (e poi risalire!) sono piuttosto faticose.

Dalla piazza del villaggio il sentiero n. 11 conduce a Tramonti e al Persico per mezzo di una scalinata continua, che scende in cresta dapprima in lieve pendenza e che poi diviene ripidissima.
Da Campiglia alla spiaggetta di Punta del Persico vi sono circa 2000 gradini. Superate le case ‘Sotto la Chiesa’, la discesa si dipana tra i vigneti terrazzati dell’estremo settore orientale di Tramonti, che proprio qui finiscono, incontrando anche qualche ulivo.
Il paesaggio è stupendo e aperto sul mare; il grappolo di case del Persico è a quota 100 m e sembra dover precipitare da un momento all’altro nell’acqua, tanto è scosceso il versante. Per raggiungere la spiaggia vi sono altri 400 gradini, strettissimi, alti e quanto mai ripidi.
Dalla fontana di Campiglia, presso la piazza, si svolta a sinistra e s’imbocca il sentiero n. 4b, seguendolo quasi in piano, poi in lieve discesa, tra le fasce delle vigne, e incontrando una pineta con qualche esemplare di sughera: la presenza di questa associazione è costante dal Colle di Sant’Antonio alla fontana di Nozzano, che si raggiunge alla quota di 344 m, nell’impluvio formato tra le coste di Schiara e dei Pozai. La fontana, d’età napoleonica (1804), è la sola nella zona.
Da questo punto se si segue il sentiero n. 4 che discende, svoltando a sinistra, il panoramico crinale di levante fra i vigneti della Costa di Schiara (l’ultimo tratto è scalinato), si giunge alle case in pietra del villaggio omonimo, alla quota di 200 m, frequentate durante la vendemmia; eventualmente si può scendere fino al mare.
Se invece dalla fontana di Nozzano si segue il sentiero n. 4h opposto, discendendo sulla destra il crinale della Costa dei Pozai (anch’esso in gran parte scalinato, con il tratto iniziale fiancheggiato dalle fasce delle vigne: Pozai significa pergolato), si raggiunge il villaggio di Monesteroli, alla quota di 130 m, affacciato sulla punta omonima.

Campiglia –Tramonti - Persico: segnavia bianco - rosso, sentiero n. 11; 1,3 km; dislivello 400 m; tempo medio: 45’ in discesa, un’ora e mezza in salita. Campiglia - fontana di Nozzano Schiara: segnavia bianco - rosso, sentieri n. 4b e 4; 2, 5 km; dislivello 500 m; tempo medio: un ora in discesa, un ora e mezza in salita. Campiglia - fontana di Nozzano - Monesteroli: segnavia bianco - rosso, sentieri n. 4b e 4d; 3 km; dislivello 500 m; tempo medio: un ora in discesa, un ora e mezza in salita.

Campiglia - Colle del Telegrafo

Si lascia Campiglia salendo la scalinata presso la fontana e guadagnando presto quota lungo il crinale, attraversando vigne coltivate e anche abbandonate, godendo di belle vedute su un ampio territorio, sino alle Apuane.
Si entra quindi in una pineta e, pervenuti ad un tornante dello sterrato forestale che collega Campiglia al Colle del Telegrafo, si segue il sentiero che risale la Rocca degli Storti tra lembi di pineta più fitta.
Alla quota di 570 m si incrocia nuovamente lo sterrato, che si percorre sino alla conclusione di questo tratto di itinerario. Il percorso segue in piano il crinale, affacciato ora sul versante interno, ora sul mare, ombreggiato dalla rigogliosa pineta, che accoglie anche castagni che risalgono la vai di Vara e qualche sughera dell’opposto versante.
L’incontro con gli attrezzi ginnici della ‘Palestra nel Verde’, un percorso di 2,5 km con 15 punti di sosta per gli esercizi a corpo libero, precede la cappella di Sant’Antonio (510 m), punto d’incrocio con il sentiero n. 4 che collega Biassa a Schiara e luogo di scampagnate domenicali (festa con sagra la sera del 12 giugno e il giorno seguente).
Con una deviazione di 500 m, discendendo lungo il sentiero n. 4, alla quota di 482 m nella zona della Crocetta si incontra il menhir di Tramonti, un masso alto 2,50 m, conficcato nel terreno di fronte a un muretto in pietra a secco, sormontato da una croce di ferro. Questo monumento) protostorico, o comunque di tradizione preromana, forse risalente all’Età del Bronzo, aveva probabili funzioni astronomiche primitive, utili alle pratiche agricole del tempo: infatti nel giorno del solstizio d’estate (21 giugno) l’ombra del menhir si proietta esattamente a metà del muretto antistante.
Dalla cappella lo sterrato prosegue nella pineta; il sentiero n. 1 lo affianca a una quota lievemente inferiore, e mantenendosi quasi in piano nel bosco tocca il Monte Fraschi (526 m) e raggiunge la radura del Colle del Telegrafo (513 m), altro punto d’incrocio di strade (da La Spezia, Biassa, dall’Aurelia ecc.) e di sentieri.
Al Colle del Telegrafo vi sono il bar ristorante Al Caminetto e il bar - trattoria Da Natale. Non sarà più possibile rifornirsi d’acqua fino al santuario di Nostra Signora di Soviore.

Colle del Telegrafo - bivio di Monte Marvede

Il sentiero lascia il Colle, affronta il crinale attraverso la macchia e la pineta, passando a valle del forte Bramapane o Verrugoli, e prosegue in piano fino al bivio Bramapane, dove giungono le strade asfaltate dal Monte Parodi e da Carpena.
Questo primo tratto consente di osservare le Cinque Terre allineate con il promontorio del Mesco sullo sfondo. Al bivio si imbocca lo sterrato che aggira dal versante costiero il Monte Verrugoli (741 m), irto di antenne e ripetitori, e prosegue pianeggiante fra arbusti e castagni.
Dopo una cava raggiunge il Monte Grosso (665 m) e la Sella La Croce (637 m), segnalata da un cartello stradale e da cui si dirama il sentiero n. 1 che scende a Riomaggiore.
Si risale il crinale verso il Monte Galera (726 m), che si aggira attraversando un castagneto, poco oltre associato a cerri e roverelle. Dopo l’incrocio col sentiero n. 2 che scende a Manarola, si continua a salire lievemente il crinale sempre fra i castagni, fino al Monte Capri (785 m).
Qui, in corrispondenza di un insellamento, una diramazione consente dì raggiungere, 50 m oltre in un felceto, il menhir delle Cinque Terre, alto 3,80 m, rovesciato a terra e spezzato in due tronconi: la sua posizione farebbe supporre una funzione di segnacolo di un particolare territorio o di un confine, in un punto che dev’essere sempre stato un incrocio di sentieri.
Il percorso prosegue sotto il crinale, supera la sella che lo divide dal Monte Cuna, raggiunge questo ultimo aggirandolo dal versante settentrionale e, oltre la sella a quota 750 m, discende il castagneto della Costa Grande e perviene all’avvallamento) di sudest del Monte Marvede, alla quota di 666 m. Qui si incrocia il sentiero n. 6 che scende a Volastra e a Manarola e sull’opposto versante giunge a Casella, segnato dalla presenza del rio Mulinello.

Dal Colle del Telegrafo 6 km; dislivello 320 m; quota massima 760 m al Monte Capri: tempo medio: 2 ore

Bivio di Monte Marvede - Foce Drignana

Il sentiero aggira il Monte Marvede fra pini e querce e prosegue lungo il versante meridionale del Monte Grosso, fino all’insellatura nordovest del Marvede stesso (620 m), punto d’incrocio con il sentiero n. 7a per Corniglia; continua in una rada pineta fino ad una nuova sella, la Cigoletta (612 m), ove giunge il sentiero n. 7 per Vernazza e Riccò del Golfo di La Spezia.
Il percorso affronta nell’arbusteto la salita delle pendici meridionali del Monte Gaginara (771 m), che si aggira godendo di belle vedute panoramiche. S’inizia quindi a descrivere l’ampio semicerchio che circonda ad anfiteatro il bacino del rio Vernazza, toccando lungo il crinale le massime quote dell’itinerario.
Una nuova insellatura, preceduta da un castagneto, è punto d’inizio di un tratto in salita lungo il crinale che raggiunge il Monte Castello (745 m) in un bosco di castagni e pini con fitto sottobosco, frequentato dai cinghiali.
Ancora fra i castagni il sentiero giunge alla Sella Prato di Corno (da cui si stacca il sentiero n. 5 per Corvara) e sale nella macchia le pendici del Monte Malpertuso (815 m, la ‘vetta’ delle Cinque Terre), toccando i 780 m di quota presso la sella omonima. S’incontrano ancora castagni e pini, quindi si giunge allo sterrato per Foce Drignana.
Il sentiero prosegue a una quota leggermente inferiore rispetto alla strada, scendendo fra lembi di pineta, lecceta e arbusteto; incontra ancora la strada (ora asfaltata) e giunge in breve all’incrocio di strade della Foce Drignana (534 m), da cui parte il sentiero n. 8 per Vernazza.
Una diramazione stradale collega la località alla strada provinciale per Pignone e Monterosso al Mare e un’altra alla ‘strada dei Santuari’.

Dal bivio di Monte Marvede 7,5km; dislivello: 250 m; quota massima: 780 m alla Sella di Malpertuso; tempo medio necessario: 2 ore 30

Foce Drignana - Colla di Gritta

Il sentiero n. 1 prosegue dolcemente lungo il crinale fra gli arbusti dapprima sul versante marittimo, quindi su quello settentrionale, aggirando il Monte Santa Croce e passando per un bosco misto di pini e castagni.
In questa zona venne riportata alla luce una tomba ligure a cassetta del Il secolo a.C.
Lasciata la valle del Gaggiolo sulla destra, il percorso si avvicina alla sottostante ‘strada dei Santuari’, ma continua tra ginestroni, pini marittimi e castagni, sboccando in località Termine (542 m) sulla strada provinciale Pignone - Colla di Gritta, raggiunta anche dalla ‘strada dei Santuari’.
A questo punto si segue per 1,5 km la strada asfaltata aperta tra i pini sino al santuario di Nostra Signora di Soviore e ancora per 2 km fino alla Colla di Gritta (330 m), tratto ombreggiato da pini, castagni, eriche e robinie. Le vedute sulla costa delle Cinque Terre sono frequenti e ampie. Alla Colla di Gritta giunge la strada asfaltata da Monterosso al Mare. Vi si trova l’albergo - ristorante Rivio.

Dalla Foce Drignana 6 km; dislivello: 250 m; quota massima: 568 m alla testata della valle del Gaggiolo: tempo medio necessario: 2 ore

Colla di Gritta - Levanto

Dalla Colla di Gritta il sentiero prosegue nella pineta salendo rettilineo al Monte Mulinelli e raggiunge il Monte Rossini (465 m) dal versante di Levanto: dalla cima si ha un’ampia visione sulla costa sottostante.
Si aggira quindi il Montenegro, sovrastato da un grande ripetitore telefonico quadrato e ricoperto di ginestre e qualche pino, e si scende alla fiorita Sella di Vè o di Bàgari, punto d’incrocio con i sentieri n. 14, 14a e 22.
A questo punto il percorso cambia decisamente direzione e segue il crinale del Monte Vè o Focone verso Punta Mesco, piegando a sud; la vegetazione, che risente dell’oltraggio di ripetuti incendi, presenta lembi cespugliosi (erica, cisti con felci ecc.) e pineta; la visione delle Cinque Terre verso levante è completa, dal mare allo spartiacque.
Superato l’incrocio con il sentiero n. 10 proveniente da sinistra da Monterosso, si raggiungono) le rovine della chiesetta di Sant’Antonio e la vicina ex stazione militare per la navigazione del Semaforo, da poco restaurata in funzione delle attività ricreative dell’area protetta regionale.
La discesa prosegue nella pineta con belle vedute sulla costiera del Mesco; intorno si sviluppa la macchia a leccio. Si giunge ai terrazzamenti di Casa Lovara, a Casa Nuova e al rio La Gatta, la cui valletta è rivestita di giovani pini marittimi.
Aggirato il promontorio di Rocca Spaccata, ottimo punto panoramico, si prosegue nella macchia e si raggiungono le Case San Carlo, circondate da fasce abbandonate, e un successivo nucleo di case sparse attorniate da vigne, guadagnando in breve la strada asfaltata nelle vicinanze del ristorante La Giada del Mesco.
Si segue poi la strada in discesa per breve tratto, quindi si prende il sentiero fra i coltivi che, costeggiato un boschetto di pini domestici, oltre la casa che reca la lapide a ricordo degli esperimenti effettuati da Guglielmo Marconi, tocca il castello e raggiunge finalmente la passeggiata a mare di Levanto.

Dalla Colla di Grata 10km; dislivello: 220 m; quota massima: 460 m al Monte Rossini; tempo necessario: 3 ore

L’abitato di Levanto (a La Spezia 55 km; 3 m s.l.m.; superficie 38,1 km2 popolazione. 6200.; cap 19015; pref. tel. 0187) è adagiato sui depositi alluvionali del torrente Ghiararo, protetto da un ampio anfiteatro di colline su cui sorgono numerosi nuclei sparsi, chiuso a levante dal promontorio del Mesco.
Un’ampia spiaggia sabbiosa è racchiusa fra la Punta Gone e La Pietra, nei cui pressi è ricavato un modesto scalo. L’antica Cebula, o Ceula, appare citata per la prima volta nel 1164 nel diploma con cui Federico Barbarossa ne confermava il possesso ai Malaspina, dei quali era base navale.
Assalita e distrutta da Pisa (1165), fu tenuta dai signori da Passano, vassalli dei Malaspina, sotto i quali acquistò l’autonomia comunale grazie all’influenza genovese. Dopo una convenzione stipulata nel 1203, Levanto passò nel 1211 a Genova, dalla quale ottenne uno statuto proprio e privilegi fiscali.
Conquistata dal condottiero ghibellino Castruccio Castracani (1320), fu attaccata e incendiata dal guelfo Roberto d’Angiò, re di Napoli (1326).
Successivamente passò al Banco di San Giorgio, che la tenne sino al 1515, riconoscendo i precedenti statuti. Eretta a capitanato nel 1637, fu elevata a città dal governo napoleonico. Vi nacque il botanico Domenico Viviani (1772-1840).

La parrocchiale gotica di Sant’Andrea, iniziata nel 1232 e portata a tre navate nel 1463, si presenta con la facciata a strisce alterne bianche e verde scuro, aperta da un portale affiancato da due bifore ogivali, coronata da una decorazione ad archetti; il rosone è un’aggiunta recente. La struttura originaria si e conservata nella parte centrale interna. Nella sacrestia sono conservate due tele di Carlo Braccesco (1495).
La loggia del Comune, originaria del 1265 ma rimaneggiata in seguito, conserva le colonne con i capitelli romanici; la porticata casa Restani è pure del XIII secolo ed è aperta da eleganti trifore e da una doppia quadrifora.
Il castello, coronato da merlature, è un rifacimento cinquecentesco, con successive aggiunte, di un edificio preesistente, fatto edificare dai Malaspina nell’XI secolo; la cinta muraria del borgo (XIV-XV secolo) è ridotta a pochi avanzi.
Il convento dei Francescani è di fondazione quattrocentesca, come l’annessa chiesa, che venne riedificata nel 1615 e conserva all interno una tavola di P. F. Sacchi (XVI secolo) e un dipinto di 13. Strozzi (XVII secolo). Da ricordare infine le chiese di Santa Maria della Costa e di San Rocco e l’oratorio di San Giacomo.
Il Museo permanente della Cultura Materiale ha sede nell’ex oratorio annesso alla chiesa di Sant’Andrea e documenta gli aspetti della vita e del lavoro contadino, artigianale e marinaro locali. Migliaia di oggetti sono ordinati per cicli e accompagnati da pannelli con testi didascalici e fotografie. La mostra è visitabile in estate dalle 21 alle 24, negli altri periodi su richiesta.

 


Le Isole del Golfo

Di fronte a Portovenere il promontorio roccioso continua idealmente
salendo dal mare con le tre isolette di Palmaria, del Tino e dei Tinetto
(quest’ultima poco più di uno scoglio), che chiudono a sudovest il golfo di La Spezia.

L’isola Palmaria, vasta 189 ettari, con un perimetro che non supera i 7 km, è divisa dalla terraferma da un piccolo braccio di mare.
La costa interna non ha aspetto selvaggio, mentre la costa esterna, a faraglioni. presenta grotte pittoresche (Grotta Azzurra, Cala Grande e Caletta), con tracce di frequentazione preistorica nella grotta dei Colombi, almeno) a partire dal 3000 a. C., ma probabilmente anche in epoca precedente.
Nel VI secolo fu sede dell’importante monastero di San Giovanni Battista, attivo fino all XI secolo, quando i monaci si trasferirono nell’isola del
Tino.
Costruzioni militari sono la torre Scuola (XVII secolo) edificata su di uno scoglio a levante dell’isola, e i forti Cavour e Umberto I, del secolo scorso.
Essendo quasi totalmente soggetta a servitù militare, l’isola ha conservato una ricca vegetazione, con leccete, pini d’Aleppo e macchia mediterranea con euforbia arborea; non mancano le specie endemiche, quali la Iberis umbellata e il fiordaliso di Venere, che cresce sulle falesie dove nidificano gabbiani, falchi, rondoni pallidi ecc.
L’isola è raggiungibile in estate con i battelli provenienti da La Spezia e Portovenere; è possibile farsi portare con barca privata da Portovenere tutto l’anno. L’approdo è nel seno del Terrizzo, di fronte alla terraferma; vi sono alcuni stabilimenti balneari, l’albergo - ristorante Lorena e il ristorante Canese che osservano aperture stagionali.
Ottime zone per la balneazione sono le cale del Pozzale (battelli per Portovenere, La Spezia, Lerici) e della Fornace.

L’isola del Tino, vasta 11 ettari, è proprietà della Marina Militare e può essere visitata soltanto un giorno all’anno, il 13 settembre (condizioni del mare permettendolo), in occasione della festa di San Venerio, cui è dedicato il complesso cenobitico dell’XI secolo che sorge sul versante rivolto verso l’isola Palmaria, abbandonato nel XV secolo a causa delle ripetute incursioni barbaresche; rimangono interessanti tracce della chiesa e del chiostro, oltre a una macina rudimentale per la spremitura delle olive.
In un edificio cinquecentesco è stato allestito un piccolo antiquarium che custodisce reperti di età romana e altomedievale venuti alla luce in occasione di scavi archeologici (marmi, vetri, ceramiche, monete ecc.).
Essendo fuori dal grande giro del turismo con tutti i suoi rischi (incendi, deturpazioni varie, edificazioni sconsiderate ecc.) presenta un aspetto tutto sommato più integro di quello dell’isola Palmaria. Strutturalmente molto simile alla sorella maggiore, alterna anch’essa un lato arido esposto al mare e un versante più timido e fresco. La ricca vegetazione dell’isola è formata da pino d’Aleppo, leccio e lentisco sui dirupi calcarei e da macchia mediterranea con corbezzolo ed erica arborea nelle zone interne.
Molto interessanti gli endemismi della fauna, fra cui il piccolo e raro tarantolino, presente solo sulle isole del Mediterraneo occidentale, che vive di massima nella corteccia degli alberi, ma anche sui muri a secco e sulle rocce.

Lo scoglio del Tinetto conserva i resti di un eremitaggio del V secolo e di un piccolo oratorio sulla punta meridionale dell'isolotto, formato da un unico vano. Visibili anche i resti di una chiesetta, il primo esempio di edificio a due navate costruito nella regione, cui erano collegati un altro oratorio e le celle dei monaci.
La fauna dell’isola annovera i tarantolini e le esclusive lucertole del Tinetto.La visita all’isolotto è subordinata ad autorizzazione militare.


La Strada dei Santuari

Il percorso si snoda a mezza costa, è molto tortuoso e si presta a essere compiuto anche in bicicletta o a cavallo.
E’ molto panoramico e unisce le frazioni interne e i santuari, centri della secolare religiosità locale e già sedi dei primitivi abitati rurali dai cui aitanti furono fondati in seguito i borghi marinari.
Da Monterosso al Mare si raggiunge (4,3 km) la Colla di Gritta (330 m), importante valico lungo la strada provinciale Pignone - Levanto, e sì prosegue per la stessa strada in direzione di La Spezia per 2 km; incontrando il Santuario di Nostra Signora di Soviore all’incrocio con la strada che si dirige a nord al passo Bardellone e a Cassana.

Santuario di Nostra Signora di Soviore
(465 m)
Il più antico santuario mariano ligure sorge nel luogo dove, secondo le fonti storiche, si insediarono gli abitanti dello scomparso villaggio di Albareto, distrutto dal re longobardo Rotari nel 643. Secondo alcuni autori Albareto stesso sarebbe identificabile con Soviore.
Nei dintorni è stata rinvenuta una tomba ligure a cassetta del Il secolo a.C., a dimostrazione dell’antica frequentazione del territorio.
Il toponimo deriva dal latino sub viario, cioè ‘sotto strada’, e parrebbe riferirsi al tracciato protostorico di crinale che attraversava la zona.
L’antichità delle origini di questo santuario è confermata dalle strutture murarie tuttora esistenti e dalla notizia che nel 996 l’imperatore Ottone III, in viaggio per l’incoronazione a Roma, volle visitarlo.
L’epoca dei grandi pellegrinaggi di massa ebbe inizio nel 1745, quando i fedeli furono attratti dalle prediche di san Leonardo da Porto Maurizio; l’incoronazione di una pregevole statua lignea della Pietà attribuibile al XV secolo, di scuola nordica, tuttora oggetto di venerazione, avvenne nel 1749.
Il santuario di Nostra Signora di Soviore si affaccia su un piazzale allungato, ombreggiato da lecci secolari. La costruzione attuale è frutto di numerosi rifacimenti, che tuttavia lasciano intuire le origini romaniche (XI-XII secolo), gli interventi gotici (portale del XIII secolo), gli ampliamenti settecenteschi. Il campanile a tre piani, coronato da una guglia, è aperto da bifore. Sul retro dell’edificio, presso la foresteria, antichi volti scolpiti in pietra di reimpiego dovrebbero provenire dall’edificio primitivo.
Dal piazzale del santuario la vista abbraccia nelle giornate limpide un panorama vastissimo, dal promontorio di Portofino alla Riviera e alle Alpi Liguri verso ponente, dal Monte Pisano all’Arcipelago Toscano e alla Corsica a levante e di fronte; è sempre godibile una splendida visione di Monterosso con il promontorio del Mesco e, dall’altro lato, della costiera delle Cinque Terre, incorniciata da un lembo di macchia mediterranea.
La festa con solenne processione al santuario di Nostra Signora di Soviore si svolge il 15 agosto; altre feste il 7 luglio e la prima domenica dopo l’8 settembre. In estate si svolgono) concerti di musica classica e corale.
Oltre il santuario, la strada provinciale giunge, dopo 1,5km, in località Termine: a questo punto la si lascia per imboccare, sulla destra, il tracciato che aggira da sud il Monte Santa Croce (618 m) e, attraversate le costiere Linaro e Messorano, perviene dopo 4 km al crocevia della Foce Drignana (534 m). I boschi del crinale sono ricoperti da pini marittimi con un lembo di castagneto sotto il Monte Santa Croce. Le tracce degli incendi che hanno colpito la zona si intuiscono oltre che dai tronchi anneriti, anche dal sottobosco, formato da rovi e felci aquiline. Nell’area è stata riportata alla luce una seconda tomba ligure a cassetta, anch’essa databile al Il secolo) a.C.
Dal nodo della Foce Drignana si stacca sulla sinistra un tronco stradale che si unisce alla provinciale per Pignone e sulla destra il collegamento con Vernazza.
Seguendo quest’ultimo percorso con una deviazione di circa 2 km dalla ‘strada dei Santuari’, oltrepassate le case Pearino (o Prearina), si raggiunge il santuario di Nostra Signora di Reggio, attraverso una campagna terrazzata a vigneto disseminata di case sparse, tuttora in parte abitate.
Santuario di Nostra Signora di Montenero
(341 m)
La tradizione fa risalire la fondazione di un primitivo edificio religioso all’VIlI secolo), ma le prime notizie certe sono del 1335.
Sottoposto a diversi rifacimenti e ampliamenti che nel 1740 e nel 1847 lo trasformarono profondamente, il santuario si presenta con una pianta a tre navate; l’interno venne affrescato nel Settecento dal pittore Battaglia di Castelnuovo Magra.
La prima icona che vi fu venerata era bizantina ed è legata a una tradizione analoga a quella del santuario) di Nostra Signora di Soviore: sotterrata per salvarla dalle orde longobarde di Rotari, fu ritrovata più tardi nel luogo in cui, accanto a una sorgente scaturita all’improvviso, venne in seguito costruito l’edificio sacro.
L’attuale immagine della ‘Assunzione, un dipinto rinascimentale più volte sottoposto a restauro, viene portata in solenne processione il lunedì di Pentecoste.
Dal piazzale del santuario la vista spazia sulla costiera fino al Mesco e, dal lato opposto, fino al promontorio di Portovenere e alle isole del Golfo.
Ripresa la strada dei Santuari, si sale aggirando la Rocca dei Pini e si attraversa un bosco di lecci, pini e castagni.
La vicina borgata di Cericò ricorda che nel 1251 i Genovesi chiamarono sul Monte Verrugoli le popolazioni rurali delle Cinque Terre a giurare la loro partecipazione alla lotta contro Pisa.
Poco più distanti le case della frazione di Lemmen propongono dubbi sull’origine del toponimo, che da citi lato) potrebbe riferirsi all’arrivo di profughi greci nell’VIlI secolo, sfuggiti alla persecuzione dell’imperatore Leone III, dall’altro lato deriverebbe dal latino limen, cioè ‘limite’, per indicare forse il confine orientale dell’espansione romana lungo l’antico) percorso di crinale.
L’ultimo tratto del percorso dell’itinerario attraversa un’area a macchia e giunge al Colle del Telegrafo (513 m), importante nodo stradale con diramazioni a nord verso il bivio Bramapane e il Monte Verrugoli (asfaltata), con proseguimento verso est alla chiesetta di Sant’Antonio e al menhir di Tramonti (sterrata) oltre che punto d’incrocio di numerosi sentieri.
Santuario di Nostra Signora di Reggio
(317 m)
Anche le origini di questo santuario, non note, devono essere molto antiche, perché l’edificio sacro dell’XI secolo fu costruito su una preesistente cripta associata a un cimitero; le prime notizie scritte risalgono però soltanto al 1248.
La pianta basilicale originaria, a tre navate, nel XIV secolo venne trasformata in pianta a croce latina, con l’aggiunta di un movimentato fastigio sopra il timpano.
È stata conservata la facciata romanica, mentre l’interno è stato trasformato da strati successivi di stucco. Vi si venera l’immagine di una Madonna Nera con Bambino, che gli abitanti della zona chiamano ‘l’Africana’.
I locali della foresteria accolgono ancor oggi i pellegrini. Il piazzale è ombreggiato da lecci e cipressi secolari, con qualche tiglio e qualche robinia, e offre una bella veduta sul sottostante borgo di Vernazza. La festa del santuario è celebrata la prima domenica di agosto.
Si risale al crocevia della Foce Drignana e si svolta a destra, oltrepassando la frazione di Drignana e casa Pollazzo ed entrando così nell’ampio anfiteatro dell’alto vallone di Vernazza, che viene aggirato con un percorso quasi pianeggiante.
Sotto la strada si scorgono vigneti e fasce terrazzate in parte adibite ad altre colture, in parte abbandonate; più in basso vi sono castagneti, la cui presenza è favorita da un microclima fresco e umido.
Sono anche osservabili altre piante a foglie caduche, quali il carpino nero, la roverella e il nocciolo. Questi boschi offrono rifugio alla volpe e alla poiana. Sopra la strada vi sono invece lembi di lecceta, fino a quota 700 m.
Al termine del vallone di Vernazza, il raccordo stradale diretto a Corniglia conduce con una deviazione di poche centinaia di metri alla frazione di San Bernardino, un gruppo di case variopinte nei caratteristici colori pastello liguri, allineate lungo una mulattiera di crinale, fino alla sella su cui sorge il santuario di Nostra Signora delle Grazie.
Santuario di Nostra Signora della Salute
(340 m)
La chiesa, molto semplice e a una sola navata a pianta rettangolare, si presenta in forme romaniche, con facciata a conci squadrati, il coronamento superiore ad archetti e il portale romanico con arco ogivale in arenaria, sovrastato da una bifora gotica. Il campanile è tozzo) e robusto.
Sui fianchi si aprono strette monofore. La struttura esterna richiama le architetture del X secolo; l’interno, assai rimaneggiato, è coperto da una volta a botte.
L’immagine venerata della Madonna, probabile opera settecentesca, venne incoronata nel 1891; la festa del santuario cade la prima domenica di agosto.
La ‘strada dei Santuari’, poco sopra Volastra, prosegue sterrata a mezza costa per il santuario di Nostra Signora di Montenero, sovrastante Riomaggiore. Da Volastra si può scendere (1 km) a Groppo, borgata interna non osservabile dal mare e perciò forse nata insieme a Volastra nel X - Xl secolo.
A Groppo ha sede la ‘Cooperativa Agricoltura delle Cinque Terre’ con cantina sociale. Il territorio che circonda Manarola, intensamente terrazzato a vigneto, offre indimenticabili visioni sulle fasce che occupano completamente i versanti delle colline e che si rincorrono fino a notevole altitudine.
La ‘strada dei Santuari’ prosegue attraversando in quota la valle di Groppo, la parte superiore della Costa di Corniolo e l’attigua valle del rio Finale, ricoperta in alto da una pineta, cui segue un lembo di macchia ad erica. Quindi dalla Costa di Campione la strada segue la morfologia dei monti Grosso e Verrugoli, entrando infine nel vallone di Riomaggiore, ricoperto da una pineta associata a lecci e castagni.
Poco prima della Rocca dei Pini una breve deviazione raggiunge in basso il santuario di Nostra Signora di Montenero, annunciato dalla cupola del campanile emergente dalla vegetazione.
Volastra (335 m)
Questa borgata collinare di Manarola, raggiunta dalla carrozzabile solo nel 1976 (in precedenza l’unico collegamento con il borgo costiero era possibile percorrendo un ripido sentiero comprendente una scalinata di oltre 1000 gradini), si presenta disposta ad anfiteatro sopra un poggio.
Le case seguono lo sviluppo semicircolare di due antichi gradini marini e occupano due anelli concentrici.
Questa struttura difensiva è caratteristica del Medioevo e compare nelle Cinque Terre soltanto in questo abitato). Le case sono in parte molto antiche e presentano alcuni portali rustici formati da blocchi di pietra.
Il nome dell’abitato deriva dal latino Vicus oleaster, cioè ‘paese degli ulivi’; è tuttora circondato) da qualche Oliveto, oltre che da prevalenti vigneti.
Le sue origini potrebbero risalire all’età romana, ma più verosimilmente sembrano legate all’epoca delle incursioni saracene. Nei pressi sorge il santuario di Nostra Signora della Salute.
Santuario di Nostra Signora delle Grazie
(385 m)
Di recente costruzione, è frutto della ristrutturazione ottocentesca di una precedente cappella forse già citata nel 1470, sicuramente anteriore al 1584.
Vi si venera una tela della Madonna con Bambino, originariamente raffigurata tra san Bernardo da Chiaravalle e san Bernardino da Siena, poi tagliata: oggi la venerata tela della Madonna, incoronata nel 1874, è collocata sopra l’altare, mentre due ovali appesi alle pareti contengono le immagini dei santi.
La festa del santuario è celebrata l’8 settembre. Dal piazzale si ha una bella vista su Corniglia e sulla spiaggia di Guvano.
Ritornati sulla strada dei Santuari si prosegue oltre case Fornacchi, lambite dalla frana di Guvano, mantenendo la quota di 400 m circa; la vegetazione è dominata da pini e macchia con erica, ginestrone e lecci, fino all’incrocio col rio Molinello.
Dopo, la campagna, in vicinanza delle case Pianca e Barani, è terrazzata a vigneto e confina con zone invase dal ginestrone. In corrispondenza di case Porciano, il vasto e ordinato vigneto osservabile sopra la strada è un’iniziativa di sperimentazione agraria della Regione Liguria in collaborazione con l’Università di Torino.
Il toponimo di Porciano, di chiara origine latina, potrebbe risalire all’età romana e alla presenza di un fondo rustico nella zona. Dopo aver attraversato una pineta con lecci e castagni, si giunge in breve in vista della frazione di Volastra.
I vigneti che la precedono sono serviti da due monorotaie che raggiungono la strada, perciò sono facilmente osservabili. Molto suggestiva da questo punto la visione sulla sottostante costiera, delle Cinque Terre.

 

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