Omeopatia

Per la scienza non ha efficacia medica. Ma l’omeopatia non è tutta da buttare.
Sfrutta l’effetto placebo, spesso più utile e sicuramente
meno dannoso dell’abuso di farmaci
.

La data esatta non è nota, ma tutto lascia pensare che il fatto si sia verificato nel lionese, in Francia.
Per il benessere di milioni di persone, gli inviati di una nota azienda chimica francese hanno sacrificato un’ Anas barbariae, una sola anatra.

Fegato e cuore della vittima sono serviti a produrre milioni di dosi di "Oscillococcinum", trattamento omeopatico preventivo d’influenza e malattie da raffreddamento, usato da milioni di occidentali.
A fare due conti, l’anatra si rivela d’oro: usano l’Oscillococcinum cinque milioni di francesi e, secondo l’ISTAT, quattro milioni di italiani.
La terapia d’attacco, sei dosi, costa 14 euro, quindi quell’unica anatra vale, solo sul mercato franco-italico, 125 milioni di euro. Non male per chi produce e commercializza il preparato.

Ma quello del volatile è stato un sacrificio utile?
Ovvero, funziona l’omeopatia? Su cosa si fonda? Quali vantaggi e quali svantaggi ha?


Studi approssimativi
La storia dell’omeopatia ha ormai 200 anni e l’ultimo capitolo l’ha scritto per ora un editoriale della prestigiosa rivista medica The Lancet intitolato: «Fine dell’omeopatia».
L’editoriale commentava lo studio di Aijing Shang, dell’Università di Berna, che, confrontando un centinaio di pubblicazioni omeopatiche con altrettante di terapia tradizionale, concludeva che gli studi erano generalmente malfatti, ma che, corretti gli errori, restava traccia dell’efficacia delle terapie convenzionali, mentre quella delle terapie omeopatiche spariva. In sostanza: secondo Shang gli studi dimostravano che l’omeopatia non funziona.

La pubblicazione di Lancet non convincerà probabilmente chi crede nell’omeopatia, sviluppata alla fine del ‘700 da un medico tedesco, Samuel Hahnemann. Allora la medicina tradizionale non sapeva diagnosticare le malattie; si limitava a curare i sintomi con "terapie" spesso più letali dei malanni, soprattutto salassi e clisteri. Tanto letali che nel 1860, in una riunione fra colleghi, Oliver Wendell Holmes, dell’Università Harvard di Boston, aveva affermato:
«
Sono fermamente convinto che se l’intera materia medica attualmente usata potesse essere gettata in fondo al mare, sarebbe tanto di guadagnato per l’umanità, e... tanto peggio per i pesci». In questo panorama la cura di Hahnemann era un passo avanti: anche se non guariva, almeno non faceva danni. E, infatti, alcuni studi epidemiologici sulle epidemie del passato hanno dimostrato che la terapia di Hahnemann salvava più malati della terapia tradizionale.

L’acqua si ricorda...
Hahnemann si era convinto che la stessa sostanza che nelle persone sane e ad alte dosi causa una malattia, a dosaggi infinitesimali nei malati la potesse curare. La diluizione secondo Hahnemann rendeva, infatti, più potenti le pozioni, che erano ulteriormente potenziate da ripetute percussioni verticali sulla Bibbia. I suoi rimedi conservano i nomi latini originali:

Mephitis putorius è l’estratto di ghiandola anale di puzzola, ed è usato contro la tosse asinina; Pediculus capitis, il pidocchio dei capelli, cura psoriasi, prurito ed eruzione alle mani; Pulex irritans, il pidocchio del corpo, è consigliato per i dolori mestruali.

Ma niente paura: neppure le tecniche d’analisi più sofisticate scoverebbero traccia delle proteine della puzzola o del pidocchio nei preparati omeopatici.
Lo garantisce una legge scoperta nel 1811 da un nobile piemontese, Amedeo Avogadro, in base alla quale si può calcolare che già una diluizione alla 12a centesimale (12CH) contiene 0,6022 molecole, vale a dire nessuna. Le diluizioni successive quindi diluiscono acqua con acqua.

Una diluizione centesimale (1CH) significa che l'agente efficace (tintura madre) e' stato diluito 100 volte.
la sigla 13CH significa una diluizione di 100 volte per 13 volte di seguito, in questo caso significa che la goccia originale di agente e' stata diluita idealmente con tanta acqua pari a circa tre volte il volume di tutti gli oceani!
In omeopatia non sono rare diluizioni pari a 30CH o anche 100 o 300CH.

E dunque? Dunque Jacques Benveniste, stimato immunologo francese, sostenne nel 1988, sulle pagine della rivista Nature, che l’acqua che abbia subito uno scuotimento conserva la "memoria" di quello che ha contenuto in passato e che questa memoria è in grado di generare una risposta del sistema immunitario, cioè di curare. Tutte le repliche effettuate dallo stesso Benveniste davanti a testimoni e da altri ricercatori, premi Nobel per la chimica compresi, non riuscirono però a confermare lo studio.

... di essere inquinata?
Effettivamente l’omeopatia contrasta con tutte le basi molecolari della moderna farmacologia.

«L’azione farmacologica deriva dall’inserirsi di una molecola come una chiave in una serratura della cellula, un recettore» dice Luigi Garlaschelli, ricercatore di chimica all’Università di Pavia e membro del Cicap (Comitato italiano per il controllo delle affermazioni sul paranormale). «Senza molecola o senza recettore non si ha azione farmacologica. Se l’omeopatia dovesse funzionare sarebbe quindi grazie a qualche principio ancora sconosciuto».
Notizia tranquillizzante, questa, perché se l’acqua conservasse la memoria di ciò che ha contenuto, si ricorderebbe anche di tutti gli inquinanti che ha trasportato...

Staffetta chimica
Se non c’è effetto farmacologico, allora su cosa si basano i successi dell’omeopatia?

Sull’ effetto placebo, che gioca un ruolo importante anche nella medicina tradizionale. «Non è, come molti sostengono, un fenomeno psicologico» spiega Jon Kar Zubieta, docente di psichiatria e radiologia all’ University of Michigan. «E’ un fenomeno fisico scientificamente dimostrato e documentato dalle tecniche di diagnostica per immagine, come la PET (tomografia a emissione di positroni) e l’MRI (risonanza magnetica), che fotografano in tempo reale l’attività cerebrale».
La ricerca ha dimostrato che la trasmissione delle sensazioni spiacevoli. che in medicina spesso corrispondono ai malesseri, è una staffetta chimica che, dalle terminazioni nervose presenti nel corpo e sugli organi, passa l’informazione di cellula in cellula fino al cervello, dove le sensazioni vengono etichettate come "dolore", "prurito", "nausea", "freddo", "caldo" ecc. Questo sistema è detto sistema
nocicettivo, cioè della percezione delle sensazioni sgradevoli. Parallelamente, però, ne esiste un altro, detto antinocicettivo, che contrasta le sensazioni sgradevoli. Qui gli attori sono le endorfine, sostanze simili all’oppio prodotte naturalmente dal cervello nelle zone deputate alla percezione delle sensazioni sgradevoli, che si inseriscono nella staffetta chimica nocicettiva riducendo o addirittura bloccando la diffusione dei messaggi negativi. In particolare alcuni recettori sono gli stessi sui quali agiscono i farmaci antidolorifici le droghe. Insomma, non importa molto che cosa s’inserisce in questi recettori, l’effetto è sempre stesso: le sensazioni spiacevoli riducono.

Troppi farmaci
Questo sistema antidolorifico naturale si attiva quando siamo convinti di essere curati, anche la cura è acqua fresca. E funziona anche negli animali, che sanno benissimo quando sono curati.

«Per far aumentare gli oppioidi endogeni basta sentirsi dire che il farmaco che si sta ricevendo è un analgesico; questo in effetti riduce il dolore di circa il 28%» dice Zubieta. Su questa reazione si baserebbe l’effetto dell’omeopatia.
Anche i pazienti di Ippocrate, il fondatore della medicina occidentale, sostenevano che le sue cure erano efficaci, ma oggi sappiamo che lo erano per la capacità dell’organismo di curarsi da solo e per l’effetto placebo. La cosa interessante è che questo effetto agisce anche quando si somministrano farmaci tradizionali.

Secondo alcune ricerche, il 35-45% delle prescrizioni odierne non ha alcun effetto specifico sulle malattie in trattamento. Ma la medicina tradizionale ha uno svantaggio rispetto all’omeopatia: porta con sé gli effetti collaterali, a volte gravi, che i rimedi omeopatici non hanno.
Andrea Dei, docente di chimica generale e inorganica all’Università di Firenze, benché critico nei confronti dell’omeopatia, ricorda:
«
Su 10 farmaci della medicina tradizionale, 6 sono efficaci e 4 no. Dei 6 efficaci 4 non hanno effetti collaterali, mentre 2 hanno effetti indesiderati duraturi. Quanto ai farmaci che non apportano benefici, 3 su 4 hanno effetti collaterali».
Se è vero che gli antibiotici salvano vite, è altrettanto vero che 7 prescrizioni su 10 sono errate.
E che si ricorre agli antipiretici anche con una febbre a 38 0C, quando sarebbe quasi sempre meglio non intervenire. Gran parte dei malesseri (cefalee. nausea, tosse, mal d’orecchio, di gola), infatti, guariscono da soli.

Acqua e menta
In conclusione, se è vero, e dimostrato, che l’omeopatia non ha basi scientifiche, è vero anche che fa meno danni dei farmaci sintomatici tradizionali di cui si abusa per eliminare i sintomi senza curare la malattia.

In questi casi l’unica soluzione è un medico preparato, che usi l’omeopatia per sfruttare l’effetto placebo, e prescriva i cambiamenti di dieta e stile di vita utili a ridurre i malesseri (fumo, alcol, poco sonno, scarsa attività fisica, alimentazione sbagliata sono la fonte di molti malesseri). E che sia in grado di diagnosticare in tempo una vera malattia, che richieda un intervento farmacologico.
Quanto ai genitori, per curare molti malesseri dei propri pargoli potrebbero usare
Aq. Menth. Pip., un cavallo di battaglia delle preparazioni dei farmacisti di una volta. Sotto questa sigla si nasconde... "acqua alla menta piperita":
Un potentissimo placebo. Poche gocce in un bicchiere o su una zolletta di zucchero, somministrate con la serietà adatta all’occasione, possono attivare il sistema antinocicettivo. Senza danni collaterali. E a costo zero.


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