San Benedetto del Tronto - Arte
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L'ABBAZIA DI S. BENEDETTO SUL TRONTO

Antico centro di cultura, operosità, carità e spiritualità benedettina penetrata nella bassa valle del Tronto, il monastero di S. Benedetto conserva elementi architettonici che datano la sua fondazione all'Altomedioevo (VIII - IX secolo).

La tradizione e i documenti vogliono questo antichissimo monumento opera dei cenobiti di Monte Cassino e, in effetti, la storia iniziale ci parla di forti legami con l'abbazia di Montecassino che lasciò un'impronta indelebile nella XIII formella della porta basilicale, fatta fondere nel secolo XI dall'abate Desiderio:

S[anctus] BEN[edictus] I[n] TR[u]NTO CUM CELLA S[anctae] MARGHARITAE


Le celle erano organismi religiosi formati da una chiesa e da alcune proprietà rurali dipendenti da un centro maggiore.

Nel XIII secolo l'abbazia di S. Benedetto aveva soggette le celle di S. Pietro di Pretarolo e S. Erasmo di Monsampolo, S. Salvatore di Valle Cupa di Colonnella, S. Giovanni di Controguerra, S. Maria e S. Michele di Monte Donnello e S. Margherita di Monte Cretaccio: indice della sua grandezza nel paesaggio medievale della valle del Tronto, caratterizzato da fertili colline punteggiate da un nugolo di potenti castelli.

In un'atmosfera di grande felicità collettiva, il 21 marzo vi si celebrava la festa primaverile di S. Benedetto da Norcia, il fondatore del monachesimo occidentale che aveva concentrato nel motto ora et labora tutta l'essenza della Regola dettata ai frati.


Estintasi la comunità monastica, il patrimonio fondiario dell'abbazia fu gestito da patroni, rettori e affittuari che nel 1484 vi fecero compiere importanti lavori di restauro nell'unica navata dell'antica chiesa abbaziale, la quale assunse il doppio titolo di SS. Benedetto e Mauro in relazione al culto che nel frattempo si era sviluppato nei confronti di S. Mauro, primo discepolo di S. Benedetto, venerato dai pellegrini come protettore dall'epilessia.

Nelle ricorrenze patronali suggestiva era la scenografia del “ponte” realizzata allineando dei carri agricoli, dalle grandi ruote decorate, sul Tronto per favorire il transito ai numerosi fedeli abruzzesi.

Unica manifestazione di religiosità e devozione popolare ancora praticata nel Santuario è il tradizionale triplice giro in cripta toccando le sacre pietre cenobitiche.

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LA CHIESA

I vescovi aprutini, ogni volta che la visitavano, udivano dalla viva voce degli astanti che questa chiesa è stata de' monaci.
Qui, l'impareggiabile fascino architettonico è mantenuto intatto dalle volte quattrocentesche poggianti su alti pilastri fatti costruire dagli affittuari degli antichi benefici del monastero, probabilmente in sostituzione delle vecchie capriate.

Nell'abside del vano presbiterale, accessibile mediante due scale ai lati di pietra di sette gradini, l'unico decoro scultoreo si limita a un fregio di conchiglia entro una nicchia cuspidata che inscrive una monofora con archivolto listellato.

Nel 1534 i patroni Astolfo Guiderocchi e Sigismondo Migliani di Ascoli commissionarono a Matteo Bonfini di Patrignone una tela riproducente la Vergine col Bambino, S. Paolo e S. Mauro, che fu collocata sopra l'altare maggiore situato dentro il muro ch'è scavato a guisa di un arco.

Il dipinto, di cui non si ha più traccia, era collocato nell'arco del presbiterio sopraelevato come sede privilegiata della celebrazione eucaristica.

Una grande lapide apposta nel 1723 nella muraglia verso il fiume Tronto dalla parte di dentro della medesima Chiesa, proclama una concessione enfiteutica di 300 anni delle proprietà fondiarie di S. Benedetto al Tronto in favore delle famiglie più facoltose di Monsampolo (Carincola, Corradi, Iaconi, Pagliaroni, Tamburini, Tassetti, ecc.) con l'annuo canone di 106 scudi romani.


LA CRIPTA

I vescovi del Cinquecento la definivano grotta fatta a croce di una bella antichità. Le volte deformi hanno un sapore rude e arcaico, accentuato dall'uso irregolare dei ciottoli di fiume e dal reimpiego degli embrici romani.

La cripta, secondo la prassi cristiana delle origini, è orientata verso il sole nascente che simboleggia Gesù Cristo, la vera luce del mondo.
Dalla grotta si usciva per il tramite di due porticine posizionate ad occidente, dove il tramonto del sole allude al buio della vita e quindi alla morte. Si tratta di una significativa traccia di pietra sul simbolismo cristiano del sole e sulla teologia della luce.

Sopra la mensa dell'altare si conserva un concio scolpito con un intreccio di vimini tipico dell'VIII-IX secolo, probabile avanzo del decoro della primitiva chiesa rimaneggiata nel 1482.
Nell'ala laterale destra della cripta, quasi a livello della pavimentazione, si offre un singolare concio semilavorato col motivo altomedievale della treccia: un chiaro scarto del lapicida determinato dalla cattiva qualità della pietra.

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