[Testi tratti da “Lettere e poesie per una rivoluzione” – Bruno Ficcadenti]

 

 

Lettera da Nicola Gaetani Tamburini a Francesco De Sanctis - Zurigo

 

 

Monsampolo di Ascoli, 29 Settembre 1856

Illustre Signore,

Voi esule, io pellegrinante la terra del dolore, ambi l'amor d'Italia ci crisma fra­telli, ed ambi un presentimento dell'avvenire ci regge la vita. Mi vi presento adun­que come se una sola aspirazione ci avesse incontrato, come se in questa avessi­mo appreso a conoscerci.

Un amore grande per gl'illustri viventi mi è culto alla Patria, e voi ricevetelo da un giovane che crede in esso e con esso adempie il più santo dei doveri, quello dell'uomo libero, e schiettamente italiano.

Vi domando il giudizio dei lunghi miei studi su la divina Commedia: dal concet­to, qui a dietro trascritto, [allegato omesso] voi conoscete ove tendono le mie aspirazioni, e che chiedono agli uomini di cuore.

Per me Dante è un libro sacro, e come tale si ha l'in­tera anima mia; ivi il mio palpito, da ivi si eleva il mio intelletto, e da ivi prendono parvenza di bello i miei desideri! senza cui crederei di non esistere, ne lo saprei: senza cui non so come si possa meritare la Patria, e senza meritarla ho per fede, ch'ella non possa esserci data, non possa a noi venire. Eccovi l'intima anima mia in Dante: il rimanente ve lo dirà l'amico mio Sig.re Nicola Rosei, che mi vi fa scrivere, e il concetto, che come ho detto, vi ho trascritto.

Stimatissimo Signore accettatemi nel vostro affetto, poiché sono uno che vivo dell'amore di quelli che sanno soffrire, e danno all'Italia nelle loro sofferenze san­tissima testimonianza. lo pria di questo tempo vi ho amato, e vi amo, e vi amerò sempre a tutte viscere: i vostri scritti ridestano a vita, la pongono entro i petti de' giovani; voi fate che Patria si crei una generazione gagliarda, e schiettamente ita­liana. Le considerazioni su le contemplazioni di Victor Ugo formano la concretez­za de' giovani, e ansiosamente si aspetta il prosieguo di quei studi che avete pro­messo.

E se a chi vi ama è lecito una preghiera, d'ogni vostro scritto io ed i miei amici vi chiediamo la conoscenza, perché vogliamo crescervi intorno, perché la ri­velazione del bello l'aspettiamo da voi. Vi parlano, stimatissimo Signore, in queste mie parole, giovani che vivono di dolore e che fanno paghe lor desianze nei vostri studi.

Vi ossequio, e fin da questo momento di quel che direte intorno ai miei studi danteschi me ne dico riconoscente: datemi affetto, ve lo domando per carità di pa­tria. Pieno di ossequio sono ora e sempre

vostro e vostrissimo

Nicola Gaetani Tamburini

 

Lettera da Francesco De Sanctis a Nicola Gaetani Tamburini - Monsampolo

 

 

Zurigo [28, 29 ottobre 1856]

 

Quanto t'invidio, o giovane! Tu hai ancora il cuore caldo e l'anima credente. Ed io mi specchio in te e mi dico tristemente: — Tale ero anch'io un giorno!

La tua lettera mi ha fatto rivivere un istante nel passato: ero tanto felice in mezzo a' miei giovani, e li amavo tanto! Chi me li rende.

E tu mi porgi la tua mano e mi dici: — Siamo amici! lo ti stringo la mano con affetto riconoscente: non sai quanto bene mi hai fatto. Solo, in mezzo a stranieri, ho sete di amore, ho bisogno di riempire il vuoto che è nel mio cuore.

Ed ecco che d'onde meno mi attendevo mi giunge una voce amica: Sii benedetto! Spero che mi amerai, quando avrai conosciuto dap­presso che io ho un cuore capace di rispondere al tuo.

Che debbo dirti de' buoni studi Danteschi? L'aver preso tanto amore a Dante testimonia la nobiltà del tuo animo e la severità de' tuoi studi. Mal posso giudicare dal tuo magro sommario. Solo concedimi un'osservazione sull'indirizzo delle tue in­vestigazioni.

Tu sei tutto dietro a trovare il senso occulto della Divina Commedia. Ora se leggi con attenzione il Convito, vedrai che l'allegoria per Dante è cosa affat­to arbitraria, rimasta senza alcun stretto legame con la parte visibile e chiara. Ed in questo è l'eccellenza del poema: il buon senso del poeta ha rimediato alla falsa teo­ria critica che allora correva intorno all'arte, secondo la quale una finzione poetica era in sé cosa vana, quando non rinchiudesse sotto il velo della favola alcuna veri­tà.

No. La poesia è e dee essere finzione nel senso latino, cioè l'idealità del reale. Dante per satisfare a quella teoria ed al verso allegorico di quei tempi sottointende alla rappresentazione una base morale ed intellettuale, di modo però che il senso letterale rimane, salvo alcune eccezioni, indipendente ed ha il suo valore in se stes­so.

Di che nasce che l'allegoria, meno la principale ammessa da tutti, può esse­re spiegata in mille modi, non avendo alcun legame logico e costante con la parte visibile, nella quale spesso non è penetrata: aleggia al di sopra di questa, non vi s'incorpora.

Di che la grandezza del poema non è in questo senso occulto, ma nella sua parte lucida, che è tutto il medio evo, intellettuale, politico, morale, inviluppato in una scorza teologica il dramma di questa vita rappresentato nell'altro mondo. Desidererei dunque che lasciassi dormire in pace le allegorie e che dessi a' tuoi studi un indirizzo storico estetico: qui è la parte eterna della Divina Commedia.

Sono contentissimo che costà ci siano de' giovani teneri de' buoni studi. Con­tinuate, miei cari: quanto desidererei di essere in mezzo a voi! Nella vostra genera­zione sono poste tante speranze!

Quando ristretti tra voi gustate la dolce voluttà di comunicarvi le vostre impressioni, i vostri sentimenti, e la lettura di Dante accende in voi quel sano entusiasmo, ch'è padre di tutte le grandi e nobili virtù, ricordatevi che ci è uno in terra straniera che vive della vostra stessa vita che vi comprende e con l'anima è in mezzo a voi.

Il tuo affezionatissimo F. De Sanctis