Emanuele Gaetani Tamburini - Brevi Racconti, Versi e Novelle

Emanuele Gaetani Tamburini scriveva anche brevi racconti, versi e novelle, che venivano pubblicati sui suoi giornali, su quelli con i quali collaborava e sulle riviste letterarie.


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Riportiamo una sua novella pubblicata su
"Rivista Minima" -
Milano, maggio 1913.

Fiamma d'amore

S'erano lasciati la sera imbronciati e con tanto di muso.
Lei aveva cento ragioni da vendere, ma anche lui — bisognava pur convenirne — non aveva gran torto.
Giorgio le aveva dato della gelosa, e Pia, che gelosa non era mai stata, aveva buon diritto di metterlo con bel garbo alla porta.
— Che vita, mio Dio! — diceva quella povera ragazza innamorata, e ravvivava il fuoco nel caminetto con una certa aria di sconforto e di desolazione indicibile.
Dal soffitto pendeva una magnifica lampada con un bel trasparente ricamato in seta da Pia; v'erano due amorini che scherzavano amabilmente intorno ad un cuore. Quella lampada i due innamorati l'avevano chiamata: La fiamma d'amore.

Rimasta sola in quel salotto, Pia sentiva attorno a sè come, un vuoto e una tristezza profonda.
Alla fine poi Giorgio l'aveva offesa davvero: l'aveva detta gelosa, lei che non s'era mai curata di indagare quale fosse la sua vita di giovane scapolo.
Prese il primo libro che le venne fra mano, sedette con aria annoiata e lesse.
Fuori cadeva a larghe falde la neve, e il vento impetuoso ululava e scuoteva le imposte.
Apparentemente Pia era molto tranquilla, ma il suo cervellino di ragazza giovane e innamorata vagava fuori di quel salotto così tiepido e rischiarato dalla fiamma d'amore.

Dal canto suo Giorgio — che non era in fondo un cattivo ragazzo e amava Pia col trasporto e coll'entusiasmo di un'anima giovane e ardente — non s'era di molto allontanato dalla casa della sua fidanzata, ma, varcata appena la soglia della porta, s'era fermato a pensare, e a consultare sè medesimo sul da fare.
— Doveva forse ritornare da Pia, buttarsele in ginocchio, domandarle scusa? L'aveva offesa forse?... Dirle che era gelosa era una prova di stima che egli offriva alla sua fidanzata.
La neve seguitava a cadere e il freddo gl’intirizziva le membra.
Giorgio ebbe un ultimo istinto di collera: voleva andarsene davvero è non pensare più mai nè a Pia, nè all'amore.
Aveva già fatti alcuni passi per andare, quando il ricordo di quel salottino così ben rischiarato dalla fiamma d'amore, lo persuase a tornare indietro, a farsi coraggio, a presentarsi a Pia, chiedendole magari perdono.

S'udì una forte scampanellata alla porta.
Pia — che cosa non comprendono gli innamorati? — capì subito tutto e a volo.
Senti un rumore accelerato di passi; era Giorgio che ritornava.
Sedette come meccanicamente al piano: suonò in fretta e con molta passione il Walzer più appassionato d'amore ch'ella conoscesse, e attese l'arrivo di Giorgio.
Egli si era fermato sulla soglia del salotto e quelle note di Schubert gli avevano commosso il cuore.
Ma quel coraggio, di che egli si credeva capace, quando era sulla porta di strada, sentiva ora venir meno, ora che era tanto vicino al salotto così ben riscaldato e profumato.
Anche Pia aspettava:
— Oh!- che cosa sta a fare lì fuori? pensava tra se. — Perchè non entra — e si doleva di averlo trattato con qualche durezza, mentre conosceva benissimo anche lei che Giorgio l'amava e l’amava assai.

Si aprì tutto a un tratto la porta, e Giorgio, pallido e ansante, entrò:
— Cosa volete? — domandò senza neanche volgere il capo dal leggìo che stava sul piano.
Giorgio si sentì disarmato. Balbettò qualche parola inconcludente di scusa, alle quali Pia rispose con un sorriso finissimo.
Il ghiaccio non era ancor rotto. Pia si volse a Giorgio, e con una certa aria di malizia femminile gli domandò:
— Avete dimenticato qualche cosa?
— Tutto. Ma sentite Pia, non siamo pazzi a bisticciarsi per cose da nulla, a ostinarci a credere offese quelle che non sono in fondo che prove d'amore? Che cosa v'ho detto io poi?
— Che sono gelosa.
— E voi mi avete messo alla porta. Di chi è l'ingiuria?... Mia forse, che vi prego di stimarvi tanto da non essere gelosa di me o vostra che per un nonnulla dimenticate tutto un passato d'amore e di stima?
Pia era tornata al piano. Le sue dita convulse correvano sui bianchi tasti che mandavano un suono indistinto.
Erano note d'amore che quelle dita bianchissime inconsciamente facevano risuonare.
Giorgio s'accostò lentamente a lei. Si piegò pian piano al suo orecchio e le disse:
— Non essere più gelosa... perchè ti amo davvero !
Scoccò  un bacio lungo e affettuoso.

Fuori cadeva la neve: ma in quel salottino, sul sorriso di quei due giovani innamorati, splendevano lietamente i raggi della fiamma d'amore!

Qui la rivista "Eco delle Donne"
(data ignota)
pubblica un suo sonetto:

Abbiamo pubblicato nel precedente numero una lettera del Prof. Emanuele Gaetani Tamburini, con la quale quel distinto letterato, direttore dell'illustre Ateneo Alessandro Manzoni di Fermo, presieduto dal Comm. Cesare Cantù, offeriva alla nostra Direttrice il titolo di Socia Onoraria. Ora ci è grato aggiungere di averne ricevuto il Diploma; e di volerne protestare publicamente quei sensi di riconoscenza e di stima, che per noi si possono maggiori.

Il Prof. Gaetani Tamburini ben noto nella Repubblica letteraria, va spesso publicando in prosa e in versi de' bei lavori, che noi leggiamo con vero piacere, nei quali traspare il sapore congiunto all'affetto, la mente non divisa dal cuore: pregio che non troppo di frequente risplende nelle pagine de' moderni scrittori, compresi da soverchio amor ad un pesante verismo, che snerva e tarpa le ali del genio.

Egli publica un Albo bimensile delle Fanciulle Italiane, che contiene letture istruttive ed educative, e noi lo vogliamo raccomandare all'attenzione delle Mamme che amano nelle loro figliuole la vera educazione del cuore.

In pari tempo è Direttore Fondatore dell’Ateneo di Fermo, alla presidenza del quale, corne abbiam detto, evvi il Nestore de' viventi Letterati Cesare Cantù, e ne compila un Periodico Mensile — Il Manzoni — in cui concorrono i più reputati Scrittori d'Italia. Noi auguriamo alla Patria nostra uomini di mente e di cuore come lui!

Frattanto, a costo di derogare ai principi dello Statuto, che guida la nostra Società, non vogliamo defraudare le nostre cortesi Lettrici di un Sonetto, che il Prof. Tamburini gentilmente c'inviava, e che meglio delle parole farà giustamente apprezzare il merito del nostro amico e distinto letterato.

La Redazione


AD L.M.....
ALUNNA NEL R. LICEO MUSICALE S. CECILIA DI ROMA
IMPRESSIONI E VOTI

Allor che udii, gentil, la prima volta
Il soave tuo canto, io non ardia
Trarre il respiro e in dolce estasi avvolta
Tremava la commossa anima mia.

Come al mattin vivida rosa colta
Ardean le gote accese, e d'armonia
Or tenue, or grave, or languente, molta
Da la rosea tua bocca onda fluiva.

Tanti sorgean dal faticato petto
Pensieri allor, che, quando le divine
Tacquero labbra e il canto tuo troncasti,

Plaudii fremente. E da quel giorno aspetto
Te riveder, cinta d'alloro il crine,
Aggiunger fama agli italiani fasti.