Lettere di Giulia Centurelli a Nicola Gaetani Tamburini - Monsampolo

[Testo tratto da “Lettere e poesie per una rivoluzione” – Bruno Ficcadenti]

 

Ascoli Piceno, 1° dicembre 1854

Gentilissimo Sig. Nicola

Vi ringrazio della gentile protesta che mi fate di avermi sempre nell'animo, e il vostro linguaggio, lungo dall'offendermi, mi ha fatto conoscere ancor più la bontà del vostro cuore.

lo però l'aveva conosciuta ed una prova ne sia stata lo avervi io detto, il secondo giorno della vostra conoscenza, avere io tentato qualche volta il linguaggio delle Muse, (cosa che non ho fatto con questi di casa), perché ero certa di non vedere sul vostro labbro il sorriso dello scherno, e di esser compianta.

Non v'illudete, per carità, io non posso essere un fiore, fra le spine della pove­ra Italia, questa fortuna non è data a me.

V'incoraggio all'opera benedetta d'innalzare la donna: essa ha bisogno di es­sere riputata buona a qualche cosa, di essere amata, ma non di quell'amore legge­ro con cui si ama presentemente, ma di uno più alto, e sublime.

Questa lettera sarà piena di errori, e la vostra bontà saprà compatirli. Credete­mi intanto

Vostra affezionatissima Giulia Centurelli

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Ascoli Piceno, 8 dicembre 1854

Carissimo Signor Nicolino

Eccomi ad annoiarvi con una mia lettera. Vi rendo mille grazie di tutti i libri che mi avete mandati (così avrò di che cibarmi per un pezzo), e del dono gentile che mi avete fatto de le vostre belle iscrizioni su la donna; non ci è che dire, la donna ha in voi un campione, in cui può riposarsi ciecamente, e abbandonarsi ad un lieto avve­nire, dimenticando il tristissimo passato.

Ne la vostra lettera, 5 corrente, che scrivete a Selva, gli dicevate bramare qualche mia cosa; ma come è egli possibile, voi di un gusto così gentile e squisito, desiderare i rozzi concetti di una rauca Musa?

Non però voglio disgustare un amico così buono, qual siete voi, e qui acclusa troverete una mia poesia fatta di fresco; non vi dico nulla perché il dubitare che un cuore cosi ben fatto non compatisca, parrebbemi fargli un'offesa.

Questi di casa vi salutano tutti, e a me farete il piacere di salutarmi la vostra buona madre, le gentili sorelle, ed il Signor Atanasio, voi abbiatemi sempre per la vostra affezionatissima

Giulia Centurelli

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Ascoli Piceno, 30 dicembre 1854

Carissimo Amico

Vi mando quattro miei disegnetti, uno è quello che già vi mandai, ma corretto, a seconda del vostro consiglio, gli altri tre sono quelli stessi delineati da voi al canto ventesimosettimo del Purgatorio.

Ma il primo non so se vi piacerà, perché io ho fatto Dante, quando "in su le man commesse si protese", e Virgilio quando dice: "Ve­di figlio tra Beatrice e te è questo muro", e l'Angelo: "Più non si va, se pria non morde, Anime Sante, il fuoco, entrate in esso Ed al cantar di là non siate sorde".

Facendolo come voi dicevate, cioè quando già si erano disposti ad entrare nel fuoco, a me pareva che venisse troppo somigliante al secondo, quando già vi erano dentro. E poi così mi pare che vi risalti più il progresso che fa il popolo (Dante), gui­dato dalla ragione (Virgilio), che ha per fine l'umanità (Beatrice).

Il secondo l'ho fatto nel mentre Virgilio dice a Dante, onde incoraggiarlo: "Gli occhi suoi già veder parmi".

Il terzo vedete che l'ho fatto come dite voi nel momento della comprensione della voce: "Venite, benedicti Patris mei", che suonando dentro un lume Dante non potè guardarlo.

Questo ho tentato di fare, amico mio, ma vedete da per voi come sono riuscita male. Se avessi la valentìa che ha Flaxman nel disegnare, nel dare espressione alle figure con pochissimi segni, forse avrei fatto qualche cosa di meglio.

Ma voi avete visto quanto ho disegnato, e che cosa m'hanno insegnato, ci vuol pazienza. Lascio di scrivere per non annoiarvi d'avantaggio, e perchè la vostra donna ha fretta.

Quando avete tempo mi scriverete qualche cosa su questi miei lavori. Salutatemi tutti di vostra casa, e pregandovi di conservarmi il vostro affetto, mi ripeto

Vostra affezionatissima Giulia Centurelli

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(Senza data)

Mio Carissimo Amico

Accetto l'augurio che mi fate sull'anno venturo, e vorrei che anche a voi fosse apportatore di felicità, e alla vostra famiglia.

Riguardo alla mia povera poesia, vi di­rò ingenuamente di non aver letto più che otto volumi della Storia universale di Can­tù; nei quali ho trovato menzionato quelle famose donne del Paganesimo, e ignara di quelle del Cristianesimo non ho potuto parlarne.

Non crediate che abbia lasciata l'istoria per mero capriccio, ma mi è convenuto lasciarla per leggere il Rinnovamen­to d'italia di Gioberti, e le opere del Leopardi, le quali opere io non poteva ricusare di leggere, anzi riteneva come una fortuna se mi capitavano.

Ora sto leggendo l'inter­pretazione al Petrarca del Leopardi, e poi, amico mio, bisogna che ceda una buona parte del giorno al disegno; dunque vi prego a non voler apporre a umil animo, da po­ca attenzione, gli errori che troverete in me, ma alla mia ignoranza.

Correggerò il mio disegnetto, l'angelo in verità non aveva pensato di farlo, mentre fa "il segno lor di Santa croce". Ma Dante vedeva anch'io che doveva re­stare con le ginocchia per terra, ma in quel momento mi seccava di correggerlo, e ve lo mandai così. Sabato ve ne manderò qualc'un altro.

Ora vi parlerò del Foscolo, e vi dirò che delle Grazie l'autore e dei Sepolcri mi dà un consiglio nell' Inno primo, quando dice: "Sdegno il verso che suona e che non crea"; non vi pare una lezione giusta, giusta per me? Vi assicuro che quando lessi quel verso, mi colpì tanto, che feci proponimento di non scrivere più nulla, perché quel che scrivo io suona soltanto, (e non sempre bene) e non fa altro.

Più leggo quel libro, e più sento di dovervi una gratitudine immensa. Vedete destino avverso ai grandi! Nei cenni su la vita di Foscolo dell'Orlandi ho trovato che anche la mi­seria ha contristato quell'altissimo spirito.

E riguardo a voi che potrete risponder­mi? Siete voi felice? Vi stimano tutti a seconda del vostro merito? Siete voi libero? Voi mi direte che vi tengono relegato in luogo ov'è la vostra famiglia, nella vostra patria insomma; è vero, ma il vostro cuore, avrà bisogno di cuori e d'uomini alta­mente grandi, mescersi insieme, e formare per così dire un solo.

E vi pare il luogo ove siete bastante a ciò? lo credo che per trovare tali uomini e tai cuori, faccia d'uopo andare in cerca col lumincino come faceva quel Cinico.

Siate voi benedetto sempre, sempre, e la vostra Patria vi onori quanto merita­te. Addio.

 Vostra affez.ma amica

Giulia Centurelli

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Ascoli Piceno, 7 luglio 1855

Carissimo fratello ed amico

Ho ricevuto dall'ottimo Carafa la tua lettera con il Berchet: te ne ringrazio. Son grata al tanto affetto che mostri per me, non so come meritarlo, per cui lo reputo tutto da la tua bontà; noi pure rammentiamo sempre i giorni che hai passati con noi, ed io, seguendo il mio lavoro sul Dante, ricordo di averne letto due canti insieme.

Oggi Augusto ti manderà la sua Pia, la mia Francesca non so quando te la manderò, o se mai te la manderò: non è lavoro da vedersi, ma tu l'hai veduto, dun­que basta.

Se hai occasione di scrivere alla Signora Colomba Montori, farai il piacere di salutarla tanto, e falle conoscere che io vado superba di aver fatto la sua cono­scenza, e che mi ha lasciato gran desiderio di sé, giacché quel giorno stemmo in­sieme tanto poco tempo, e così pregala di avermi qualche volta nella memoria;

ed assicurandoti del mio solito affetto, sono

Tua affez.ma Giulia Centurelli

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