Chimica

E’ la scienza che studia della composizione, della struttura e delle proprietà delle sostanze
naturali e sintetiche, e delle loro interazioni reciproche.

Sin dai tempi più antichi l'uomo ha osservato alcune trasformazioni della materia (come ad esempio la cottura dei cibi, la combustione del legno) e ha cercato di comprenderne le caratteristiche e di spiegarne le cause.

Seguendo l'evolversi di queste osservazioni è possibile quindi tracciare la storia delle idee e dei concetti che hanno portato allo sviluppo della chimica moderna.

Antichità
Il pensiero di Aristotele dominò la filosofia naturale per quasi due millenni, a partire dalla sua morte avvenuta nel 323 a.C.

Egli credeva che in natura esistessero quattro qualità: il caldo, il freddo, l'umido e il secco, e che ciascuno dei quattro elementi fosse dominato da una coppia di qualità: così il fuoco era caldo e secco, l'aria era calda e umida, la terra era fredda e secca e l'acqua era fredda e umida; inoltre i quattro elementi, combinandosi secondo diversi rapporti, costituivano tutte le sostanze presenti in natura.

Poiché si immaginava che fosse possibile modificare la quantità di ciascuna qualità costituente gli elementi, si prevedeva che gli elementi stessi potessero trasformarsi l'uno nell'altro e perciò che fosse anche possibile trasformare una sostanza in un'altra.

L'alchimia
Estendendo il concetto di trasformazione, gli studiosi pensarono che i metalli subissero in natura un graduale processo di perfezionamento, trasformandosi gradatamente in oro.

Sulla base di questa ipotesi, essi immaginarono di poter riprodurre lo stesso processo nei loro laboratori, in modo da trasformare artificialmente i metalli più comuni in oro.

A partire dal 100 d.C. questa idea dominò anche il pensiero filosofico e vennero scritti molti trattati di alchimia, alcuni dei quali, andando ben oltre la pura speculazione filosofica, si rivelarono di interesse scientifico.

La nascita dei metodi quantitativi
Nella prima metà del XVII secolo alcuni scienziati cominciarono a studiare le reazioni chimiche sperimentalmente, senza alcuno scopo tecnologico.

Jan Baptista van Helmont, un medico convertitosi alla chimica, utilizzò la bilancia analitica in un importante esperimento volto a dimostrare che una ben precisa quantità di sabbia (silice) poteva essere fusa con un eccesso di alcali formando vetro solubile e che questa sostanza, trattata con acidi, avrebbe rigenerato la sabbia nell'esatta quantità iniziale.

Venivano in questo modo gettate le basi del principio di conservazione della massa. Van Helmont dimostrò anche che in molte reazioni si liberava un "fluido aereo", che chiamò gas, intuendo l'esistenza di un nuovo stato d'aggregazione della materia, quello aeriforme.

La teoria atomica
Durante gli esperimenti condotti nel XVI secolo si scoprì come ottenere il vuoto, cosa che Aristotele aveva considerato impossibile.

Questo risultato richiamò l'attenzione sull'antica teoria di Democrito, secondo la quale la materia era costituita da atomi che si muovevano nel vuoto.

Il filosofo e matematico francese René Descartes, conosciuto con il nome di Cartesio, sviluppò una teoria compiuta che spiegava i fenomeni naturali in base alla dimensione, alla forma e al moto degli atomi.

Grazie agli esperimenti condotti dal chimico e fisico britannico Robert Boyle, autore della legge fondamentale che esprime la relazione inversa tra pressione e volume di un gas a temperatura costante, cominciò a svilupparsi anche la teoria cinetica dei gas.

La teoria del Flogisto
Nella seconda metà del XVII secolo il medico, economista e chimico tedesco Johann Joachim Becher, basandosi sulle teorie di Paracelso, compì le prime osservazioni che portarono all'elaborazione di una nuova teoria chimica: la teoria del flogisto.

Secondo questa teoria, sviluppata da Becher e dal suo discepolo Georg Ernst Stahl, tutte le sostanze contengono un costituente particolare, detto flogisto (dal termine greco che significa "infiammabile"), che viene liberato durante la combustione.

La chimica nel XVIII secolo
Un importante risultato nell'ambito della ricerca sui gas venne ottenuto nel 1756 per merito dello scienziato britannico Joseph Black.

Studiando la reazione di decomposizione del carbonato di magnesio, egli osservò che il riscaldamento di questo composto sviluppava rilevanti quantità di gas, lasciando un residuo che chiamò magnesia calcinata (ossido di magnesio); dalla reazione di questa sostanza con carbonato di sodio si otteneva il sale di partenza.
Black chiamò il gas che si sviluppava (il composto oggi noto come diossido di carbonio) "aria fissa", perché era come "intrappolato" all'interno del carbonato. In questo modo veniva per la prima volta
dimostrato che i gas erano sostanze in grado di prendere parte a reazioni chimiche.

Un secondo passo verso lo sviluppo della chimica moderna si ebbe con la scoperta dell'idrogeno, inizialmente chiamato "aria infiammabile", da parte del chimico Henry Cavendish.

Questi introdusse inoltre delle nuove tecniche per isolare i gas che si liberavano durante le reazioni chimiche, e ciò permise al chimico e teologo Joseph Priestley di scoprire nuovi elementi gassosi, tra i quali l'ossigeno.
Priestley intuì che questa sostanza era il costituente dell'aria coinvolto nei processi di combustione e di respirazione; tuttavia, convinto che le sostanze bruciassero meno rapidamente in presenza di ossigeno piuttosto che di aria, ritenne questo gas povero di flogisto, dandogli il nome di "aria deflogisticata".

L'esatto ruolo dell'ossigeno nelle reazioni di combustione venne definito dal chimico francese Antoine-Laurent Lavoisier che diede all'elemento il nome attuale.

La nascita della chimica moderna
Con una serie di esperimenti Lavoisier dimostrò che l'aria contiene il 20 per cento di ossigeno e che la combustione è dovuta alla reazione di questo elemento con la sostanza combustibile, negando quindi l'esistenza del flogisto.

Lavoisier diede inoltre la prima definizione di elemento chimico (una sostanza che non può essere ulteriormente decomposta) e diede una prima versione della legge di conservazione della massa.
A seguito delle sue scoperte sulla combustione, riformò la nomenclatura chimica, ai tempi ancora basata sugli antichi termini alchimistici, introducendo le denominazioni sistematiche ancora oggi in uso.

Dopo il suo assassinio, avvenuto nel 1794 per mano dei giacobini, i suoi discepoli proseguirono la fondamentale opera del maestro, ponendo le basi della chimica moderna.

Poco più tardi il chimico svedese Jöns Jakob Berzelius propose di indicare gli elementi con le prime lettere dei loro nomi latini, sistema adottato tuttora.

La chimica del XIX e del XX secolo
Gli sviluppi della chimica analitica permisero al chimico francese Joseph-Louis Proust di dimostrare che gli elementi sono presenti in ogni composto secondo un rapporto definito e costante.

Nello stesso periodo il chimico e fisico francese Joseph-Louis Gay-Lussac scoprì che i rapporti dei volumi con cui i gas reagiscono sono numeri interi e, generalmente, piccoli (legge delle combinazioni gassose).

Mancava tuttavia una giustificazione teorica di queste osservazioni. Nel 1803 lo scienziato britannico John Dalton propose una teoria atomica secondo la quale ogni elemento era costituito da atomi di massa e dimensioni ben precise.
Basandosi solo sulla legge delle proporzioni definite e costanti, Dalton non poteva definire le formule dei composti in modo assoluto, perciò assegnò arbitrariamente peso atomico unitario all'idrogeno e calcolò il peso atomico relativo dell'ossigeno dai rapporti di combinazione, assumendo per l'acqua la formula HO; applicando la stessa procedura ad altri composti ottenne i pesi atomici relativi di tutti gli elementi allora noti.

Dalla teoria atomica, egli dedusse la legge delle proporzioni multiple: se due elementi diversi formano più di un composto, le quantità in peso del primo elemento che si combinano con una quantità fissa del secondo stanno tra loro come numeri interi.
Questa previsione venne ben presto avvalorata dai risultati sperimentali.

Teoria molecolare
La teoria di Dalton mancava di un'effettiva distinzione tra atomo e molecola, non prendeva in considerazione le osservazioni di Gay-Lussac sulle combinazioni gassose e, se si assumeva per l'acqua la formula HO, portava a conclusioni in contrasto con i dati sperimentali; infatti il vapore acqueo avrebbe dovuto possedere una densità superiore a quella dell'ossigeno, di formula O, mentre ciò non trovava riscontro nell'osservazione.

La giusta interpretazione venne data nel 1811 dal fisico italiano Amedeo Avogadro, il quale formulò la legge secondo cui volumi uguali di gas diversi, nelle stesse condizioni di temperatura e pressione, contengono lo stesso numero di particelle.
Quindi, avendo osservato che un certo volume di ossigeno reagiva con un volume doppio di idrogeno per formare l'acqua e avendo raffrontato le densità dei tre gas, sostenne che la formula dell'acqua doveva essere
H2O.

Queste conclusioni rendevano conto di tutti i dati sperimentali ed erano in accordo con la legge della combinazione dei gas. Avogadro aveva quindi intuito correttamente l'esistenza delle molecole, ma i suoi risultati non trovarono il credito che meritavano.

Solo molti anni dopo, nel 1860, l'ipotesi di Avogadro venne ripresa dal chimico italiano Stanislao Cannizzaro, divenendo la base della chimica.

Contemporaneamente altri campi della chimica venivano investigati; la scoperta nel 1800 della pila a opera dello scienziato italiano Alessandro Volta e lo studio dell'elettrochimica portarono a ritenere che le forze che tengono uniti gli elementi nei composti fossero di natura elettrostatica.

In particolar modo lo scienziato svedese Jöns Jacob Berzelius sviluppò una teoria secondo cui tutti gli elementi contengono particelle positive e negative, ma in alcuni di essi prevalgono le prime, in altri le seconde; perciò gli elementi con cariche opposte si attraggono e sono quindi uniti da forze elettrostatiche.

La teoria di Berzelius si rivelò valida per la chimica inorganica; infatti le sostanze fino ad allora studiate erano composti ionici e il legame tra gli ioni (e non tra gli atomi, come questo scienziato pensava) è effettivamente basato sull'attrazione tra cariche opposte.

Nuovi campi della chimica
I principali sviluppi del XIX secolo si ebbero nel campo della chimica organica (detta chimica del carbonio). La nascita del concetto di valenza, la scoperta del carbonio tetraedrico a opera di Van't Hoff e la descrizione della struttura del benzene per merito di Kekule permisero di comprendere il legame chimico anche nelle molecole organiche e diedero un forte impulso alla sintesi di nuovi composti. È in questo periodo che, soprattutto in Germania, vennero fondate le più importanti industrie chimiche moderne.

Anche la chimica inorganica richiedeva una razionalizzazione; il chimico russo Dmitrij Ivanovic Mendeleev, nel 1869, e il chimico tedesco Julius Lothar Meyer, nel 1870, formularono separatamente una tavola periodica in cui classificarono tutti gli elementi noti in base alle somiglianze di comportamento osservate e alla graduale variazione di proprietà nei gruppi di elementi successivi.

Sulla base di questa tavola e della legge della periodicità osservata, Mendeleev riuscì a prevedere l'esistenza di alcuni elementi ancora ignoti, indicando con una certa precisione le loro proprietà.

I risultati raggiunti nel campo della fisica indussero alcuni scienziati ad applicare modelli matematici alla chimica. Lo studio delle velocità di reazione portò alle teorie cinetiche, soprattutto a opera del chimico svedese Svante August Arrhenius, e la termodinamica trovò varie applicazioni.

L'analisi degli spettri di assorbimento e di emissione venne approfondita, portando allo sviluppo della spettroscopia. Vennero inoltre condotte le prime ricerche sui colloidi e sulla fotochimica. Verso la fine del XIX secolo era ormai nata la chimica fisica.

Quando sembrava che tutte le branche della chimica fossero già state studiate, la scoperta della radioattività aprì un nuovo campo di interesse.

Con i metodi dell'analisi chimica fu possibile separare nuovi elementi, come il radio e l'uranio, e sintetizzare e isolare gli elementi transuranici. Il nuovo modello di struttura atomica elaborato dai fisici fornì una spiegazione alla vecchia idea di affinità tra gli elementi e alla relazione tra composti polari e non polari.

All'inizio del XX secolo nacque un'altra importante disciplina, la biochimica.
Dalla semplice analisi dei fluidi corporei si passò ben presto allo studio della funzione e della natura delle
cellule più complesse.
I biochimici degli anni Cinquanta compresero la struttura del
DNA e la funzione dei geni dando origine ad una nuova scienza, la biologia molecolare.

Recenti sviluppi della chimica
La chimica ha avuto un'enorme influenza sulla vita. All'inizio le tecnologie chimiche venivano impiegate per isolare prodotti naturali e trovarne nuove applicazioni.

Nel XIX secolo vennero invece sintetizzate sostanze completamente nuove, migliori o più economiche di quelle naturali. Gli studi nel campo della scienza dei materiali hanno portato alla scoperta di nuove sostanze, quali gli ossidi ceramici superconduttori, i polimeri luminescenti e la serie di composti derivati dai fullereni.

Al tempo stesso alcuni scienziati che si occupavano di discipline sviluppatesi separatamente, come la fisica, la biologia e la geologia, cominciarono a interessarsi alla chimica. Il risultato fu la nascita di studi interdisciplinari come la geochimica.

Chimica organica
Ramo della chimica che studia i composti del carbonio e le loro possibili reazioni.

Il termine "chimica organica" fu introdotto nel 1777 per indicare propriamente la chimica dei composti prodotti da organismi viventi, ma attualmente l'intero settore comprende lo studio di una vasta gamma di sostanze, quali vitamine, proteine, carboidrati, grassi e materie plastiche, contenenti atomi di carbonio legati a uno o più elementi, come ossigeno, idrogeno, azoto, zolfo ed elementi del gruppo degli alogeni.

Nell'orbitale più esterno, il carbonio ha quattro elettroni che può facilmente mettere in compartecipazione per formare un numero massimo di quattro legami.

La proprietà più singolare dell'atomo di carbonio è comunque la capacità di condividere coppie di elettroni con altri atomi di carbonio, dando luogo alla formazione di legami omeopolari carbonio-carbonio.
Questo comportamento unico è alla base della chimica organica in quanto permette la formazione di svariate strutture carbonio-carbonio lineari, ramificate, cicliche e a gabbia, completate eventualmente da idrogeno, ossigeno, azoto e altri elementi capaci di formare legami covalenti.

La formula molecolare di un composto indica il numero di atomi di ciascun elemento contenuti nella molecola.

Ad esempio, il fruttosio, di formula C6H12O6, è una molecola formata da 6 atomi di carbonio, 12 di idrogeno e 6 di ossigeno. In chimica organica esistono numerosi composti che, pur avendo uguale formula molecolare, sono caratterizzati da una diversa distribuzione dei legami e sono di conseguenza notevolmente differenti in quanto a proprietà chimiche, fisiche e biologiche.

Tali composti, con uguale formula molecolare, ma diversa struttura, sono detti isomeri. Gli idrocarburi sono costituiti solo da atomi di carbonio e idrogeno e, in base alla loro struttura, possono essere classificati in composti aromatici e composti alifatici.

Questi ultimi possono essere ulteriormente suddivisi in alcani, alcheni e alchini.

Gli alcani hanno formula generale CnH2n + 2 e comprendono il metano, CH4, l'etano, C2H6, il propano C3H8, e il butano, C4H10.
Gli alcheni hanno formula generale
CnH2n e sono caratterizzati dalla presenza di uno o più doppi legami tra gli atomi di carbonio.
Gli alchini hanno formula generale
CnH2n-2 e sono caratterizzati dalla presenza di uno o più tripli legami fra gli atomi di carbonio.


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