Articolo tratto dal mensile valsesiano d’informazione e cultura
"IL VARALLINO" Gennaio 2002 – anno IV – N° 1
Le foto in B-N delle opere "Dopo la questua" e "Hodie tibi cras mihi" sono tratte dallo stesso articolo


Da uno scritto di Camillo Verno conosciamo un artista valsesiano
Pier Celestino Gilardi, i frati e i vecchi

Si potrebbe a lungo scrivere e trattare dell’azione artistica tanto vasta e varia di Pier Celestino Gilardi, la quale va dal soggetto storico a quello di genere, dalla scena religiosa alla composizione decorativa, dal ritratto al paesaggio ecc., ma io voglio limitarmi alla parte più caratteristica, ossia in quel campo dove egli fece maggiore sfoggio delle forti e simpatiche doti del suo ingegno e temperamento ed in cui parecchio si cimentò al fulgido sole della vittoria - fra i vecchi e soprattutto scapoli.

Premesso che la sua carriera artistica, incominciata fra gli stenti e le privazioni e percorsa con costante e intensa passione, mi può dispensare da ogni postuma lode, considererò a sommi capi solo la produzione più interessante e personale del Gilardi, sorvolando su quanto d’altro ci diede la mirabile attività del compianto maestro, nella cui opera, se non gli arditi voli del genio, poterono il lungo studio e il grande amore. Parlo dei quadri che meritatamente gli procurarono maggior successo, sul quale però mai riposò, ben sapendo che questo è quanto vi è di più volatilizzabile, più rapido a svanire che la stessa invidia da esso destata.

Ed incomincio dagli innocui frati, a più riprese bersagliati dal suo pennello. Cito l’opera "Pesci e rape" dove due di essi stanno in cucina vagliando, con compiacenza, l’abbondante raccolta di pesci e cavoli, carote, rape, ecc., tutto un assortimento di verdure variopinte e formanti un assieme brillante e piacevolissimo.

Ricordo "Tra pipa e bicchiere" ove altro fraticello, al limite della scala di un convento, sta bevendone ancora un sorso - post prandium - e fumando, allorché giunge una penitente alla quale egli, alzandosi, porge la destra per il bacio, mentre coll’altra mano, nasconde dietro a sé la pipa!
A questo punto come non citare "Et ne nos inducas in tentationem" dove osserviamo nuovamente frati i quali, sorridenti, adocchiano alcune devote fanciulle mentre queste lasciano il Santuario.
E poi ne troviamo ancora "Dopo la questua" a giocare le bocce con alcuni popolani sul piazzale di un ameno villeggio della nostra valle, davanti alla chiesa parrocchiale che il tempo - minor vandalo - da tre secoli rispetta, è pregevole affresco d’un valoroso artista di quell’epoca.
Vediamo pure in piazza, a bocca aperta e con gli occhi spalancati verso l’alto, il parroco, il capomastro, il sagrestano e l’apprendista "Architetti della parrocchia" impegnati a discutere sull’estetica o stabilità del Tempio, nel quale entriamo al Kyrie cantato da vecchi.., del mestiere, per uscirne con lo Shadataccio tirato all’orecchio dallo spegni moccoli per aver cosparso al suolo il sacro fuoco.

Altro dipinto di Pier Celestino Gilardi è "Stampa curiosa" in cui tre vecchioni, nel salotto attorno ad un tavolino, bevendo e fumando, sfogliano una cartella di illustrazioni seducenti e... davvero curiose! Lasciamo sia il poeta Gian Giacomo Massarotti a descriverle in poesia datata 4 ottobre 1891:

"Col riso in volto e la lussuria... in cuore,
Contemplano i vegliardi
Pinte e procaci nudità d’amore:
Dice il midollo: è tardi!
Ma nei cervelli s’affollano a gara
.
Mille lubriche storie,
E della dolce altrui sposa a lor cara
.
Le gustose memorie.
Bacco intanto, fedele ultimo Dio,
Coi nappi li ricrea,
E sopra i cranii, ministra del fio,
Trionfa la ... platea.

Sorprendiamone altri due sul terrazzo del parco
"
Tra ferro e fuoco" gaudenti .indiavolati, dall’occhio
sbarrato e la bocca fumante, accerchianti una più o meno
casta Susanna, la quale, pur compiacendosi, 
cerca di schermirsi.

Dalle stanze dorate, dai giardini incantevoli passiamo all’albergo dei miseri, dove non si attende che la morte e la si desidera; la "Festa all’Ospizio" si riduce a ben diversa cosa, una bicchierata più o meno prolungata e non certo del miglior nettare, quattro boccate di tabacco, una partita alle carte accanto al bracerie poca allegria e... tutto è finito.
All’indomani un compagno lascia la vita, ogni giorno qualcuno, "Hodie tibi cras mihi", la canzone della vecchiaia. Si passa quindi dalla festa al funerale, così come fu e sempre sarà nel mondo: chi ride e chi piange; chi nasce e chi muore; chi si inebria di gioia e chi s’affonda nella sciagura.

Ancora nei ritratti, massime di piccole dimensioni, Pier Celestino Gilardi, brilla di luce vivissima; quello di suo padre è un capolavoro e pure splendidi i moltissimi altri, mirabilmente armoniosi, nei quali non si sa se maggiormente ammirare la correttezza del disegno, la virgola della torma o la freschezza del colore.

L’unità e la semplicità sono virtù estetiche incomparabili, ma pur sempre la ricerca dell’anima delle cose che costituisce la nota d’arte ed i veri artisti vedono le cose non tanto per se stesse come nei pensieri e sentimenti che possono evocare: come il verso che suona e non crea, appunto vale il quadro che abbaglia e non esprime.

Queste qualità presiedettero in ogni opera del Gilardi ed ebbero il punto culminante proprio nell’"Hodie tibi cras mihi" il cui trionfo fu chiamato con troppa insistenza un successo popolare che venne quasi ad attenuare il valore artistico.

Ma l’arte, secondo me, va compresa da tutti, se missione principale di essa vuole essre quella di educare. Deve esprimere quel che ha in noi di profondo, cioè di umano, di comune agli uomini: tutto ciò che esce dall’anima e ad essa parla, persuade il cervello e fa battere il cuore. Tale può ben dirsi l’arte nobilissima di Pier Celestino Gilardi: arte che s’innalzi o abbassi, che piaccia o che non piaccia, poco o nulla importa.

Essa resta e s’impone in quanto non è arte della moda ma è arte di tutti i tempi, di tutte le ore, semplice, spontanea, sincera.


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